Facebook come gli oppioidi? L’esperto: «No, le dipendenze sono un’altra cosa»
Facebook, dannoso come gli oppioidi. L’allarme arriva nientemeno che dall’ex product manager della società di Mark Zuckerberg, Frances Haugen, che, una volta lasciata l’azienda, ha deciso di lasciare la sua testimonianza davanti al Senato di Washington: «Quando il governo si è reso conto che il fumo è nocivo per la salute è intervenuto. Quando è stato chiaro che le cinture di sicurezza salvano vite umane il governo ha obbligato l’industria dell’auto ad adottarle. Quando si è visto che i farmaci oppioidi creano dipendenza la politica è intervenuta. Vi supplico di farlo anche ora davanti ai danni sociali provocati da Facebook».
Ne abbiamo parlato con Leopoldo Grosso, psicologo e psicoterapeuta, autore di numerose pubblicazioni in tema di dipendenze, consumi e problematiche giovanili, fra cui Atlante delle dipendenze (edizioni Gruppo Abele).
Secondo lei si tratta di un allarme fondato?
«Bisogna fare una fondamentale distinzione tra comportamento a rischio e dipendenze. Secondo l’orientamento scientifico attuale, oltre alla dipendenza da sostanze, esistono solo due tipi di dipendenza patologica comportamentale: il gioco d’azzardo e il gaming, l’uso eccessivo o compulsivo di videogiochi, tale da interferire con la vita quotidiana delle persone».
Non è stata, quindi, riconosciuta una dipendenza dai social.
«Internet, con il suo sovraccarico di informazioni, pornografia e chat, può portare a comportamenti a rischio, però non è riconosciuto come “dipendenza”. La dipendenza si differenzia dalla cattiva abitudine perché rende impossibile “staccare”: non vale più la regola dello “smetto quando voglio”».
Dunque, secondo lei, può reggere il paragone tra oppiacei e Facebook?
«Da Facebook ci si può allontanare, anche per qualche giorno. Ma la vera dipendenza è diversa. È vero che l’iperconnessione contrasta con la vita, con lo studio o il lavoro, con il tempo libero, creando conflitti, ma esiste molta consulenza riguardo a questi argomenti e ci si può fare aiutare per ripristinare un comportamento sano».
Quali sono i segnali di allarme?
«Le tante ore di connessione, soprattutto durante la notte: ne risentono il sonno e la regolazione alimentare. Un altro segnale è il nervosismo che subentra quando viene chiesto di staccare. In questi casi, è bene valutare di farsi aiutare».
Ci sono persone più a rischio di altre?
«Intanto, non è vero che sono più a rischio gli adolescenti: ogni età lo è, basti pensare al pensionato che trascorre molto tempo in solitudine, ad esempio. Sui social sono soprattutto le persone più fragili e vulnerabili che trovano gratificazioni sostitutive, le persone che non riescono a sentirsi davvero realizzate nella vita offline».