Nicoletta Romanoff: «Tutte le età di una madre»
«Sono in una fase ibrida, non riesco più ad abbracciare». Nicoletta Romanoff dall’altro lato della cornetta racconta quella sensazione che più o meno ci accompagna tutti ogni volta che scendiamo in strada: la vita di «prima» che (finalmente) torna, ma di cui bisogna ancora prendere le misure. «Provo ancora un senso di straniamento», continua, «Quando ci si incontra, ci si bacia, ci si prendono le mani. Passerà». L’attrice, 42 anni, quattro figli e il primo film (Ricordati di me) girato quasi 20 anni fa, sul set era invece già tornata in piena pandemia. A Bologna per la nuova stagione dell’Ispettore Coliandro, ora in onda su Rai2 (ogni mercoledì in prima serata): «Me lo ricordo come un tempo sospeso», rivela, «allora il vaccino non era ancora disponibile, si era davanti a un grande punto di domanda».
Si tratta del suo primo poliziesco.
«Abbiamo girato quasi sempre di notte, spesso all’interno del cimitero monumentale di Bologna, respirando il clima del primo set post Covid. L’atmosfera, quindi, era un po’ rarefatta, diversa dal solito. Ho subito intuito, però, la forza di Coliando, il commissario ormai è una vera istituzione».
Nella nuova stagione del docu film Illuminate racconta, invece, Marta Marzotto. La conosceva?
«Sì, vivendo a Roma mi è spesso capitato di incontrarla, in occasione di eventi legati al cinema. Adesso, però, entrando nell’intimità del personaggio ne sono rimasta affascinata. È stata davvero una donna illuminata, una pioniera e rivoluzionaria rispetto al momento storico. Mi piace ricordarla come un’araba felice, capace di reinventarsi, una miscela di tante doti».
In che cosa si è sentita più vicina?
«Lei ha avuto cinque figli, io ne ho quattro (Francesco e Gabriele, avuti da Federico Scardamaglia; Maria, nata dalla relazione con Giorgio Pasotti e Anna, nata nel 2019 dall’unione con Federico Alverà). So cosa significa metterli al mondo e poi crescerli, fisicamente e psicologicamente. Marta ha anche vissuto il dolore più grande, sopravvivere ai propri figli. E poi è sempre stata una donna di una vitalità incredibile, non si è mai fermata, né mai adagiata, anche quando è diventata contessa. Ci ha insegnato ad andare oltre qualsiasi cosa».
I suoi figli hanno età molto diverse. Pensa che ogni maternità sia un’esperienza a sé?
«Tante prime volte, ho avuto il primo figlio a 19, l’ultima a 38. Ogni età porta con sé privilegi e oneri, oggi ho una consapevolezza diversa, anche se con i primi due figli sono stata più incosciente. L’ansia è arrivata dopo. La prima maternità è stata più istintiva, non mi facevo molte domande, oggi me ne faccio molte di più. E ho anche più sensi di colpa. La vita è imprevedibile».
Crede che oggi sia tutto più complicato?
«È difficile generalizzare, ma oggi abbiamo accesso a molte più informazioni».
Ricordati di me è uscito quasi 20 anni fa. Le capita di riguardarlo?
«Ne sapevo veramente poco, era la mia prima esperienza. Ora mi diverto di più. Lì ero un pochino intimorita dal resto del cast».
Oggi, invece, che consiglio darebbe a un giovane attore?
«Li adoro i giovani attori, li guardo come fossero i miei figli, esce la parte materna che c’è in me».
Il ruolo che più le è rimasto addosso?
«Non ho mai interpretato un ruolo a me vicino, ogni film che ho accettato mi ha portato a fare una cosa diversa da quella precedente e da quella che sono io. Quello che mi manca? Interpretare una madre, ma quello lo faccio tutti i giorni da 22 anni».
Dov’è casa oggi?
«Roma. È la città che mi ha accolto. Ma sento forte le mie radici: Napoli e la Sicilia, quelle dei miei genitori, e poi la Russia e la Toscana, terre dei miei nonni. Ho avuto la fortuna di averli anche da grande, di far crescere i miei figli con i bisnonni».
Suo marito (Federico Alverà, ndr) fa l’allenatore di rugby. Va a vedere le sue partite?
«Sono un’appassionata di rugby da sempre. Ho scoperto questo sport quando mio figlio aveva 7-8 anni. Ho sempre saputo che non lo avrei iscritto a scuola calcio, ho scelto il rugby perché mi piaceva quello che ruotava intorno. Mi sembra uno sport sano, privo di una competizione forsennata. I genitori ne restano fuori. Mi dispiace che non gli si dia abbastanza attenzione. Mio figlio oggi gioca in prima squadra, ma capita spesso che non possa seguire le sue partite. Ogni domenica viene trasmessa solo una sola partita di tutto il campionato. Un vero peccato».