Social down, che sollievo
Questa volta l’impossibilità di accedere a Facebook, WhatsApp e Instagram è durata oltre 6 ore, un blackout iniziato intorno alle 17.30 e durato fino a notte fonda. È stata una delle interruzioni più lunghe mai avute, ma non un fatto isolato. In modo particolare WhatsApp ha avuto problemi anche lo scorso marzo, a luglio del 2020. A marzo del 2019 molti utenti sono rimasti senza messaggini per 14 ore.
Nonostante questi episodi siano quindi più frequenti il «panico da disconnessione» si ripropone puntualmente innescando meccanismi di risposta quasi paradossali. L’idea che non si possa vivere senza accedere ai social, senza comunicare con le chat, senza dimostrare di essere stati da qualche parte, di aver incontrato qualcuno, di aver fatto qualcosa, genera in molte persone un senso di frustrazione.
«Scusa ti chiamo al telefono perché WhatApp non va», qualcuno ha usato queste parole per giustificare il fatto che fare una telefonata nell’era dell’iper-connessione digitale rappresenta una sorta di abuso. Ma se lo squillo di un telefono rischia di sorprenderci, dimostriamo invece una rassegnata assuefazione agli avvisi sonori delle notifiche sullo smartphone, uno stillicidio di campanellini che in ogni momento del giorno e della notte invadono il nostro spazio vitale.
Bene allora il blackout di Facebook, WhatsApp e Instagram, un’ottima occasione per riconquistare un momento di pace (apparente) e di ritorno al dominio analogico. Invece di mandare assurdi messaggi come: «sono qui sotto, mi apri», le persone hanno riscoperto l’uso del citofono. Qualcuno ha potuto anche ascoltare della buona musica senza essere interrotto da una pioggia di sollecitazioni digitali, e, forse, a tavola qualcuno sarà anche riuscito a parlare guardandosi negli occhi.
Stiamo stigmatizzando il problema, ma il problema esiste. Il mondo digitale ha conquistato silentemente molti ambiti della nostra vita camuffando l’idea di essere tutti più vicini e connessi, tutti più interessati e curiosi, con una realtà diversa: quella dell’isolamento empatico e della superficialità. Difficile negare che gli smartphone ci hanno reso meno attenti, meno selettivi, meno propensi a parlare, a toccarsi, a stare insieme.
Ovviamente la tecnologia ha anche molti aspetti positivi che non possiamo ignorare, ma questi occasionali “down” dei social ci ricordano che possiamo e dobbiamo trovare un giusto punto di equilibrio tra il mondo digitale e quello reale. Alla grande abbuffata di messaggi vocali, link, post, commenti, like, condivisioni, dovremmo rispondere con momenti intenzionali di «digital detox».
Nulla di anacronistico, nessuna crociata contro il presente, ma un utile disimpegno temporaneo dal flusso incontrollato di input. Insomma, ogni tanto, concediamoci il piacere di una SPA per la mente fatta di «disconnessione» e di silenzio. Trenta minuti al giorno con il telefono e il computer spenti, magari mentre siamo a tavola o prima di andare a dormire. E durante il weekend prendiamo il coraggio di allungare la permanenza in questa camera di decompressione per un paio d’ore.
Questo esercizio costa poco, anzi nulla, ma potrebbe aiutarci a vivere meglio.