Proteste nelle sport: non solo in ginocchio, Gwen Berry gira le spalle alla bandiera
Non c’è un solo modo di protestare e di fare attivismo. Gli occhi sono tutti sull’Europeo di calcio e sulla scelta delle squadre di mettersi in ginocchio per mostrare il proprio sostegno al movimento Black Lives Matter e alla lotta al razzismo. C’è chi ha dubbi sull’inginocchiarsi e c’è chi invece lo fa con convinzione. Non solo nel calcio. La nazionale italiana di basket ha deciso di farlo in ogni partita del torneo preolimpico.
C’è chi da tempo segue una strada autonoma e lo ha fatto anche pochi giorni fa. Gwen Berry si definisce atleta e attivista. La sua specialità è il lancio del martello, ha rappresentato gli Usa a Rio 2016 e sarà anche a Tokyo. Alle qualificazioni olimpiche degli Stati Uniti a Eugene, in Oregon, Gwen, sul podio, ha voltato le spalle alla bandiera stelle e strisce e mostra una maglietta con la scritta atleta-attivista.
La protesta era contro un verso dell’inno nazionale che parla degli schiavi. Le avevano detto che non sarebbe stato suonato. Secondo l’atleta l’inno è irrispettoso e non parla per i neri americani. Il problema, le hanno fatto notare, di potrebbe porre ai giochi olimpici a cui ha detto di voler andare e ha ribadito di non odiare il suo Paese, ma di rispettare la sua gente.
A Tokyo ci saranno regole severe. Nessun pugno alzato sul podio, nessun a inginocchiarsi al momento dell’inno, nessuna discesa dal podio per protesta. I prossimi giochi non avranno momenti diventati iconici nello sport olimpico. Il Comitato Olimpico internazionale ha stabilito che non ci potranno essere gesti e simboli di protesta sul podio, durante le gare o nelle cerimonie ufficiali. Gwen Berry ha già detto che deciderà al momento cosa fare.
Non si vedranno dunque a Tokyo gesti come quelli che sono nella gallery in alto. La più famosa delle proteste olimpiche è quella di John Carlos e Tommie Smith, velocisti statunitensi che avevano alzato il pugno chiuso dal podio per sostenere il Black Power a Messico 1968.
Negli anni più recenti le proteste sono state soprattutto da parte di atleti contro colleghi accusati di doping. Lo ha fatto il nuotatore australiano Horton ai mondiali del 2019. Ai giochi olimpici di Rio pianse la russa Yulia Efimova travolta dai fischi della sezione atleti degli spalti dopo l’argento nei 100 rana. In Formula Uno Lewis Hamilton ha mostrato il suo sostegno a Black Lives Matter e molti atleti statunitensi avrebbero voluto farlo anche ai giochi. Molte nazionali europee hanno protestato nelle scorse settimane per i lavoratori morti nella costruzione degli stadi in Qatar.