La mia famiglia di animali
Questo articolo è pubblicato sul numero 17 di Vanity Fair in edicola fino al 27 aprile 2021
«Ecco di chi era innamorato!», mi ha scritto Silvia, mandando la foto del cancello di fronte a casa sua, tra le sbarre del quale si vede un cane bianco e marrone. In primo piano c’è il suo Ron, un bel cane bianco e nero, stessa taglia, che lo punta. Due sere fa Silvia aveva mandato un video dove Ron ululava disperato, raccontando che per placarlo gli aveva raccontato la favola dei Tre porcellini dal punto di vista del lupo. Un’altra amica che non sentivo da mesi ieri mi ha detto che ora studia Reiki per animali, e che se le mandavo una foto del mio gatto, che ha da poco subito la seconda operazione ai reni in un anno, poteva occuparsene anche a distanza.
Faccio un programma tutte le mattine su Radio Capital. Parlo di libri, ma spesso anche di animali, soprattutto di gatti. È venuto da sè: gli ascoltatori hanno cominciato a mandare foto dei loro animali domestici e non hanno più smesso. Persino mia figlia, che non ha mai considerato il nostro Obama, ha detto che la settimana che è stato in clinica le è mancato molto e che ha deciso che quando vivrà da sola ne prenderà uno, o magari due, come mia nipote romana che oltre al cane Fix ha adottato due gattini terribili che rovesciano tutto. Con mia sorella non parliamo che del suo gatto Koala, chiamato così per via della macchia nera sul muso bianco. Lo ha preso pochi mesi fa, dopo aver rimpianto a lungo la gatta Janis, e ora ne è succube. L’altra nipote è in ansia per la sua cagna Mia perché teme che non vivrà a lungo. Non sentivo da parecchio uno dei miei più cari amici di infanzia, Franco: si è rifatto vivo annunciando che anni dopo la scomparsa del mitico spinone Berlin lui e Betty hanno deciso di prendere un cucciolo di golden retriever. L’hanno chiamato Totò: mi ha mandato il video dove si tuffa in mare. Erano felici. Non parliamo del mio, di gatto, che ormai mangia a tavola con noi e ha atteggiamenti possessivi che non ho mai tollerato un minuto in un uomo. Sarà la pandemia? Siamo diventati più sensibili o più soli?
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