Manola Moslehi: «La voce conta»
Il modo in cui veniamo al mondo racconta tanto, forse già tutto, di come saremo. «Ero immensa, e in pancia avevo visto bene di rigirarmi all’ultimo. Nacqui con parto cesareo, tra un giorno e l’altro, sul limite delle 23.55, tanto che a mia mamma chiesero: “Vuoi registrarla il 30 aprile o il primo maggio?”. Fu fedele, e rispose ferma: “30 aprile”. Mi dirà, crescendo: “Mica potevo condannare mia figlia a non festeggiare il suo compleanno per la vita”».
Manola Moslehi, classe 1984, «voce di Radio Italia, testa sulle nuvole», ha i tratti forti, persiani, del padre, ammorbiditi dalla dolcezza della madre.
Madre «birbante», che s’innamora giovanissima di uno straniero, «non uno straniero qualunque: iraniano, musulmano, senza una lira. Si sposarono al comune di Frosinone con rito civile e il pastore tedesco Drago come testimone di nozze».
L’indipendenza viene presto. «Finito il liceo classico con il massimo dei voti tra la festa dei 18 anni e il trasferimento a Roma, scelsi questo. Volevo andar via dalla provincia. Per mantenermi, facevo la segretaria nello studio medico di un famoso psichiatra, e nel frattempo studiavo Giurisprudenza».
Poi è tempo di provini a Cinecittà per Amici. «Mi presentai per gioco. E per mia nonna che mi diceva sempre: “Quando il buon Dio ti ha messo al mondo, ti ha dato la voce, buttarla via è un peccato per sempre, usarla bene invece una responsabilità”». Entra tra i cantanti della quinta edizione. La sua famiglia la guarda direttamente in Tv: «Ma è lei. Allora ce l’ha fatta veramente».
Il talent di Maria De Filippi è stato «una parentesi felice: io volevo fare la radio». Gavetta nella locale Centro Suono («Poco guadagnare, ma molto imparare»), in cui tra i cornetti a colazione che le portavano gli ascoltatori sente subito tutta la potenza del mezzo: «Fu amore a prima vista. Le appartenevo, mi apparteneva. Era libertà, anche in pigiama. Spesso negli studi ho dovuto ascoltare frasi tipo “La voce maschile è più rassicurante” ma per fortuna non era vero, come di solito non lo sono le discriminazioni».
È con Radio Italia che arriva la svolta del nazionale. Che porta con sé tanto internazionale. «Parlando bene l’inglese, sono stata catapultata al Festival di Venezia: battesimo di fuoco, Natalie Portman, e poi tantissimi, da Dakota Johnson a Ryan Gosling, da Bradley Cooper a Lady Gaga, fino alla suprema Meryl Streep».
Passioni.
«Scrivere quello che sento. Ho iniziato quando è venuta a mancare mamma, e da allora mi aiuta a capirmi».
Madre.
«È stato tutto il mio esempio: donna incredibilmente avanti, forte e determinata, di una dignità e integrità rare. Con la licenza elementare chiedeva a nonno libri con poche illustrazioni e tanto scritto, così da non smettere d’imparare. Quando mi lasciavo andare al dialetto, spesso, mi dava un buffetto sulla bocca: “Parla l’italiano, ti ascolteranno con più attenzione”. Quando comprese che preferivo una ragazza a un ragazzo, mi ha guardata dritta negli occhi: “Io ti ho tenuta nove mesi dentro, che pensi di darmela a bere?”. Quando si è ammalata, ed era sul letto d’ospedale, pesava 25 chili attaccata a un milione e mezzo di tubi, si preoccupava che avessi mangiato».
Padre.
«Da subito più un amico che un papà, l’altro uomo della mia vita oltre a mio fratello Michael. S’innamorò di mia mamma che gli disse: “Se vuoi fare l’amore con me, prima sposami”. Sono figlia della prima notte di nozze».
Cicatrici.
«Una, importante, grossa, enorme, di 25 cm. Mi hanno ricucita dopo un incidente in cui mi sono rotta addome, fegato, pancreas. Erano passati tre mesi dalla morte di mamma, erano stati tutti una traversata avanti e indietro Milano-Roma, un dormire sulla sedia al suo fianco. Così ho uno squarcio che mi divide a metà il ventre da sotto il seno giù lungo l’ombelico e mi ricorda che non siamo imbattibili, che mi devo fermare quando sono stanca, non lucida, e sento le prime avvisaglie di blackout, quando sto per non ascoltarmi. Mi dice: “Non dimenticarti che ogni tanto esisti anche tu”».
L’estetica.
«Ci tengo. Sono una che si curava nel vestire anche in lockdown. Ho bisogno di guardarmi allo specchio e vedermi esattamente come vorrei: perfetta nella mia perfezione. Mi piace avere il tacco anche quando nessuno mi vede. E i capelli pettinati».
La televisione, in futuro.
«Talent sì, ma alla conduzione, non come concorrente. O a poterlo immaginare mi piacerebbe un format non per forza musicale, ma d’intrattenimento, vicino alle persone, tipo Il senso della vita di Paolo Bonolis».
La conduzione che spazio è.
«Ce l’hanno dimostrato Amadeus e Fiorello all’ultimo Festival di Sanremo: chi fa radio è agevolato anche in Tv. Abituati a non avere platea (che di questi tempi è un plus), sappiamo tenere il ritmo cadenzato e veloce che è fondamentale. Poi ci sono i live, dove la bellezza è avere un copione e una scaletta ma saperli tradire bene dentro la spontaneità».
Tatuaggi.
«Ne ho tanti. Otto. Ognuno ha un suo significato. Per esempio ho un cuore organico di foglie disegnato solo per me dalla Bigotta perché mia madre amava gli agrumi: gli alberi di arance, di limoni. Ho una M, perché era la sua lettera preferita tanto da scegliere i nomi dei figli che avessero quell’iniziale. Il diminutivo con cui mi chiamava, Lola. Sul collo una chiave di violino con due ali, perché la musica è sempre stato l’unico modo che ho di distaccarmi da quel che ho intorno, se quel che ho intorno non mi sta piacendo».
Amore.
Voce fuori campo: «Possiamo dire che è presa?».
«Sono sempre stata un’innamorata persa dell’amore. E delle donne, senza mai avere dubbi. Una devota al sentimento, che crede alla monogamia per vocazione e necessità. Una da pochissime storie, ma importanti. Oggi, da tre anni, c’è lei, con cui tutto è chiaro, trasparente».
Sogno.
«Che resti costante quello che ho realizzato, di svegliarmi la mattina felice di essere quello che sono, pronta ad andare a fare il lavoro che ho scelto nella mia vita col sorriso».
Manola Moslehi sarà presto sul palco di Vanity Fair Italia/ClubHouse a parlare con noi di parole, donne, amore e altre storie.