«Carosello Carosone» e gli altri: largo ai giovani
Siamo talmente drogati dal mantra che in Italia la meritocrazia non esista che, quando ce la troviamo davanti agli occhi, non siamo abbastanza allenati da riconoscerla. È vero che i programmi televisivi, salvo rare eccezioni come Valerio Lundini e Marco Carrara, gli Under 35 non li considerano neanche di striscio, ma è altrettanto vero che da un po’ di tempo i prodotti seriali, da Rai a Mediaset, da Sky a Netflix, stanno puntando molto su volti giovani e bravissimi che, andassimo dietro alle indagini di mercato che vedono il pubblico come un massa barbosa che guarda alle novità come una minaccia anziché come una risorsa, non avrebbero nessuna possibilità di emergere. Fedele all’inno dei Måneskin che hanno vinto Sanremo con un brano che è anche il manifesto di una generazione che vuole essere ascoltata, la televisione sta pian piano spianando la strada a talenti che forse è il caso di appuntarsi. Gli ultimi in ordine di tempo sono Eduardo Scarpetta e Ludovica Martino, protagonisti del film-tv Carosello Carosone trasmesso da Raiuno giovedì 18 marzo e seguito da ben 5 milioni e 518mila spettatori, ennesima dimostrazione che, di fronte a un prodotto di qualità e a una storia di pregio, il pubblico non sta lì a cercare a tutti i costi il volto noto, ma la sensibilità di una performance.
Il film di Lucio Pellegrini, prodotto dalla Groenlandia di Matteo Rovere e di Sydney Sibilia in collaborazione con Rai Fiction, ha avuto il merito non solo di rendere giustizia alla leggenda di Carosone scegliendo la strada della leggerezza e della poesia, ma anche di aver dato il giusto spazio a dei talenti giovani che, se ci pensiamo, sono perfettamente in linea con la carriera intrapresa dallo stesso Carosone: la gavetta, il bisogno di emergere e la gloria del pubblico una volta dimostrata la stoffa che nessuno si aspettava che avessero. Eduardo Scarpetta, attore di alto lignaggio che vedremo presto anche nella terza stagione dell’Amica Geniale e nel film La donna per me, che vedrà il debutto come attore di Francesco Gabbani, recita da quando aveva 6 anni: il suo primo ruolo da protagonista, quello di Carosone appunto, arriva a 28 anni, una cosa che trent’anni fa sarebbe dovuta essere la normalità e che oggi profuma di eccezionalità rara e irripetibile. Ludovica Martino, che nel film presta il volto a Lita Levidi, è forte della notorietà conquistata grazie a quel gioiellino di SKAM Italia, ma anche assolutamente pronta per convincere il pubblico mainstream di Raiuno che, a dire il vero, ormai è abituato a trovarsi la sera di fronte ad attori e ad attrici emergenti che hanno tutto da dimostrare.
Pensiamo a Tecla Insolia, protagonista del bellissimo biopic dedicato a Nada, La bambina che non voleva cantare, diretto da Costanza Quatriglio, ma anche a giovani interpreti come Nicolas Maupas, Valentina Romani, Giacomo Giorgio e Massimiliano Caiazzo in Mare Fuori, una serie di rara potenza espressiva che avrebbe meritato più successo ma che, per fortuna, è già stata rinnovata per una seconda stagione. Sempre in Rai, in questo caso RaiPlay, segnaliamo anche la performance di Greta Esposito, di Romano Reggiani, di Cosimo Longo e di Federica Pagliaroli in Mental, la prima serie italiana interamente dedicata ai ragazzi che soffrono di problemi psichiatrici, mentre, spostandosi su altre realtà, applausi a Mediaset e alla scelta della bravissima Greta Ferro come protagonista di Made in Italy, ma anche a Netflix che, tra l’esordiente Coco Rebecca Edogamhe e il più navigato Ludovico Tersigni in Summertime e gli emergenti Elvira Camarrone e Christian Roberto che vedremo nel film Sulla stessa onda di Massimiliano Camaiti in uscita sulla piattaforma dal 25 marzo, non ha mai avuto paura di osare. Stesso discorso per quanto riguarda Sky che, tra Andrea Arcangeli in Romulus, Pietro Castellitto in Speravo de morì prima e Giulia Dragotto con Anna (quest’ultima arriverà il 23 aprile). Insomma, sarebbe bello se nei discorsi sul ricambio generazionale che ormai ripetiamo a pappagallo da trent’anni, riuscissimo a ricordarci anche di loro, magari con quell’orgoglio baudiano del «li abbiamo scoperti noi».