Guglielmo Poggi: «Felice che non mi sia andato tutto bene»
Se Guglielmo Poggi è stato scelto come protagonista de Il tuttofare, il film di Valerio Attanasio che lo ha fatto conoscere al grande pubblico nel 2018, un po’ è merito di Gigi Proietti. «Fu lui a dire alla produzione che Poggi “è uno che va piano, ma va lontano”. Fu uno dei tantissimi regali che mi ha fatto. Aveva sempre la capacità di dirti la parolina che ti rimaneva per sempre» spiega Guglielmo al telefono dalla sua casa di Roma, ancora profondamente grato al Maestro non solo per aver lavorato al suo fianco al Globe per quattro anni, ma anche per aver capito che sulla scena è necessario «dare il 110% in qualunque caso». Figlio d’arte, doppiatore bambino e attore promettente, Poggi ama definirsi «un finto giovane» che ha sempre avuto dalla sua la malleabilità di adattarsi ai ruoli più diversi. L’ultimo in ordine di tempo è quello di Tommaso, il centralinista omosessuale di Cops – Una banda di poliziotti, il film di Luca Miniero prodotto da Sky, mentre il prossimo sarà nella nuova pellicola di Alessandro Pondi, School of Mafia, con Nino Frassica e Giuseppe Maggio.
È specializzato nei ruoli brillanti, ultimamente.
«Mi piace spaziare. A teatro, dove posso, faccio, però, cose dove la gente ne esce devastata, tipo Persone naturali e strafottenti e Romeo e Giulietta. Al cinema hanno scelto per me questa strada, ma c’è da dire che non ho mai considerato il brillante meno di valore rispetto alla tragedia. Sotto la battuta e il divertimento, dopotutto, c’è sempre il dramma che si cerca di nascondere sotto il tappeto. Anche Il tuttofare era una storia che, con un tono diverso, sarebbe potuta essere molto drammatica».
In quel film si parlava molto della gavetta e dei sacrifici che si fanno a inizio carriera. Il fatto di essere figlio di attori le ha aperto qualche porta in più?
«No perché, come scherzano anche loro, se potevano aprire delle porte le avrebbero aperte per loro. La gavetta è sempre salutare nella vita di un attore. A 19 anni, dopo una trentina di provini andati male, chiesi alla mia agente se quella fosse la strada giusta per me e lei mi disse di continuare a impegnarmi: neanche 6 mesi dopo, fui preso al Centro Sperimentale e iniziai il mio primo film. Quando rimanevo fermo, mi mettevo a girare i miei corti, a cercare di essere sempre attivo: sono felice che non mi sia andato tutto bene, il lavoro costante è stato un insegnamento molto prezioso».
Mi pare che lei sia più realista che sognatore.
«Darsi dei limiti può aiutarti ad allargare i tuoi confini. Dal canto mio, cerco di saperne sempre di più, di studiare. Stare dietro la macchina da presa mi ha permesso di capire certe cose che prima ignoravo: all’inizio della carriera, come tutti i diciannovenni, sognavo di vincere l’Oscar, ma adesso preferisco coltivare ambizioni più terra terra così poi, se vanno bene, posso sognare più in grande».
Visto che ha già diretto dei corti, a un film tutto suo da regista ci pensa?
«Il film è un’ambizione. Non soffro dell’egocentrismo attoriale di esserci per forza io, quindi mi concentrerei per cercare di far uscire le attrici e gli attori che dirigo nel miglior modo possibile. Ho avuto la fortuna di lavorare con donne straordinarie che si sono fidare di me e che si sono dimostrate disponibili ad ascoltare».
La passione per la recitazione, invece, quando nasce?
«A 8 anni doppiavo documentari, film, serie. Visto che sul set si respira un’atmosfera un po’ violenta, i miei non volevano farmela vivere da bambino. Poi, verso i 16 anni, quando frequentavo il corso di recitazione del mio liceo, mi notò Rossella Izzo che mi propose per un provino: da lì i miei genitori, che fino a quel momento erano un po’ guardinghi sul fatto che potessi intraprendere questa strada, non hanno più potuto dire niente. Avere dei coach in casa che ti allenano è stato straordinario: è stato buono essere tutelato e frenato un po’ all’inizio per poi avere il loro appoggio totale adesso».
Un piano alternativo lo ha mai avuto?
«No, anche se di cose a cui dedicarmi ne avevo in mente tante. A 16 anni ero iscritto alla federazione italiana di un partito che ora non esiste più nella consulta del mio liceo: pur di non stare in classe avrei fatto qualunque cosa. Sarà per questo che non mi sono mai visto all’università. Visto che suono 8 strumenti l’alternativa, forse, sarebbe potuta essere quella di fare la rockstar – suonare al Primo Maggio è stata, infatti, una delle più grandi soddisfazioni della mia vita -. A un certo punto, però, ho dovuto scegliere, e il resto è venuto da sé».
Qual è il suo più grande talento, secondo lei?
«L’apprendimento e l’ascolto. Se mi viene detta una cosa è molto difficile che non la metta dentro al mio bagaglio: c’è chi è più dotato emotivamente di me, chi ha una voce più interessante della mia e chi una bellezza diversa, ma se c’è una cosa che ho è proprio la capacità di apprendere, di fare mie le cose prima degli altri. Forse, in questo, aver respirato questa intenzione a casa mi ha permesso di impararlo prima».
(Foto in apertura di Davide Musto)