Se c’è l’Happydemia
«La prossima epidemia sarà peggiore. Dobbiamo prepararci»
— Michael Osterholm, epidemiologo del team anti-Covid di Joe Biden, 27 novembre
«È uno stress che ci accompagnerà per un anno e mezzo circa, e stiamo mettendo in atto strategie di adattamento che lasceranno il segno in futuro, alcune probabilmente in maniera permanente»
— Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, 30 novembre
«Non se ne può più, è vergognoso. L’ho detto anche ieri a Sergio Mattarella, mi manca solo papa Francesco»
— Matteo Salvini, ex ministro dell’Interno, 1° dicembre
«Anche i fatti narrati in questo libro accadranno». A leggere le notizie si può solo dare ragione a Giacomo Papi. Nel suo Happydemia, appena uscito, c’è un ex ministro dell’Interno in astinenza da selfie e con l’amico immaginario Umby a cui confida la frustrazione di essere stato dimenticato da tutti. Ci sono i baci, vietatissimi, anche tra congiunti, e sono proibiti – per decreto – gli spaghetti ajo e ojo cucinati senza distanziamento. C’è Miss K, influencer mascherata andata in crisi perché tutti, ormai, indossano mascherine. Ci sono citazioni che si adattano ai tempi («non chiedere mai per chi suona l’ambulanza, suona per te») e carnevali aboliti, tranne quello di Gambettola, non si sa perché. L’umorismo è una delle chiavi con cui Papi, giornalista e scrittore, ci aveva già introdotto alla riflessione con Il censimento dei radical chic, bestseller del 2019 tra i primi a intercettare il virus del populismo nell’Italia giallo-verde, in cui la cultura ormai era disprezzata e gli intellettuali venivano uccisi. In questo anno complicato, invece, affida a Happydemia una potenziale e distopica «Fase 41-Bis» del presente, più che futuro, prossimo. L’Italia è quella della pandemia, in cui il «Previdente del Consiglio» comunica attraverso Dpcm le regole di sopravvivenza tra minimi di spesa al supermercato (100 euro) e peso massimo degli escrementi dei cani (600 grammi). La gente è triste, nervosa, agitata, e per questo prospera Happydemia, la più grande multinazionale di psychodelivery che distribuisce psicofarmaci (attraverso l’Happ) in 116 Paesi con un esercito di 70 mila rider.
In un mondo in cui tutto è vietato, come si sta?
«Male, naturalmente. E le cose che non si possono sostituire con il digitale – il sonno, il cibo e i baci – si stanno inevitabilmente trasformando. Il sonno è eroso costantemente dall’uso dei cellulari e dal consumo di serie tv, in questo caso è stato illuminante per me il claim di Netflix “il nostro unico competitor è il sonno”. Il cibo è tornato un bisogno essenziale e sempre più legato a chi lo trasporta. E i baci sono diventati qualcosa di impensabile, il corpo è un guscio in cui ripararsi».
L’idea del libro, confessa nei ringraziamenti, le è venuta per un attacco d’ansia.
«Avevo letto Spillover di David Quammen e quando il contagio è esploso, e poi è arrivato il lockdown, sono stato travolto dall’angoscia. Non dormivo più. Così ho chiamato un mio amico neuropsichiatra e gli ho chiesto aiuto. Lui, gentilissimo, è arrivato il giorno stesso con un sacchettone di tranquillanti, che poi non ho toccato, e ha detto: “Dovrei proprio inventarmi un servizio di psychodelivery”. Il libro è nato lì».
L’Istituto europeo per il trattamento delle dipendenze (IEuD) ha appena certificato che nei mesi di emergenza Covid-19 i consumi di psicofarmaci sono cresciuti e in particolare le benzodiazepine, ossia gli ansiolitici, hanno avuto tassi di crescita di oltre il 4% nei primi sei mesi del 2020.
«La gente le ha usate, certo. La ristrutturazione che sta vivendo la nostra società è pazzesca: se si escludono i più anziani, nessuno aveva mai vissuto un’interruzione della normalità di questo calibro, c’è un’evidente impreparazione psicologica».
È per questo che spopolano negazionisti da una parte e fanatici igienisti dall’altra parte?
«La gente è impazzita. In questo senso l’epidemia è un esperimento sociale e psicologico enorme, ha fatto esplodere l’ansia, il coraggio, la generosità, la follia, e anche istinti ancestrali, dalla paura di aver fame a quella di non dormire. Ha svelato quanto ancora di noi è animale».
Il protagonista Michele è un ventenne che vive con il nonno Attilio, dopo la morte per Covid del padre e la fuga della madre con un rappresentante di Amuchina. Sia il giovane sia il vecchio vogliono vivere, ma il primo non può fare nulla, e il secondo è terrorizzato da tutto.
«I contrasti tra generazioni c’erano anche prima, ma non emergevano. Ora sono esplosi. Ai giovani abbiamo chiesto il sacrificio di stare a casa da scuola, ma tutto sommato non era una richiesta esagerata. La cosa grave che abbiamo detto loro è che sono pericolosi e li abbiamo caricati della responsabilità più grande del mondo: non far ammalare i genitori e i nonni. È un messaggio molto violento: è come dire che i ragazzi uccidono. Finora si sono comportati molto bene, ma adesso mi aspetto anche una ribellione. Che in parte si vede con gli scioperi degli studenti che studiano per strada».
Stiamo bloccando una generazione?
«Abbiamo chiesto ai giovani di tumularsi in casa. Questo è un fatto epocale: invece di dir loro “uscite nel mondo, andate, siate indipendenti”, diciamo “dovete stare chiusi, da soli”».
Nel libro Pitamiz, visionario fondatore di Happydemia, spiega che la politica dei sussidi gonfia un debito che ricade sulle future generazioni, ma ai politici non interessa.
«È vero: la nostra struttura demografica è fatta di una maggioranza di vecchi, i giovani elettoralmente non contano».
Eppure prima del Covid i giovani cambiavano l’agenda politica: c’erano i Fridays for Future, Greta Thunberg, e poi le Sardine che riempivano le piazze. Li lodavamo.
«Le sardine, il cui nome si deve all’idea di stare appiccicati “come sardine”, hanno avuto un tempismo pessimo, bisogna dirlo. Quella centralità dei giovani era molto raccontata dai più grandi, non so se alla fine di questa pandemia sarà un processo che ricomparirà. Quello che posso augurarmi è che succeda come nel Decàmeron di Boccaccio».
Ossia?
«È in quel testo che, per la prima volta nella storia della letteratura, tra i giovani isolati fuori Firenze per l’epidemia, le donne iniziano a raccontare e raccontarsi, prima lo potevano fare solo se sante o regine. Mi auguro che questa epidemia riporterà i giovani a raccontarsi fuori dagli schemi degli adulti».
Michele diventa «consegnator», ossia rider di Happydemia, pur di non dovere studiare a distanza, chiuso in casa. La sua è una generazione senza presente e con zero prospettive. Lei scrive: «Erano poveri senza rendersi nemmeno conto».
«Dopo aver scritto il libro, a settembre, ho chiesto a mio figlio Pietro, che ha 19 anni, e ai suoi amici, esattamente questo: che cosa avreste scelto tra tumularvi in casa a studiare o andare a fare il rider? Tutti mi hanno detto che preferivano la seconda opportunità. Il problema è che la cultura e la formazione, pur necessarie alla comprensione del mondo, non promettono più niente: è la grande promessa tradita del Novecento».
Anche la sessualità è proibita ai giovani. Secondo l’Istat sono nati 20 mila bambini in meno rispetto al 2019.
«In copertina ci sono le bolle sia perché sono un simbolo poetico, sia perché nel libro sono ovviamente vietate in funzione anti-contagio, sia perché rappresentano esattamente “la bolla”, minacciosa e infantile, in cui siamo rintanati. L’Istat fotografa una tendenza: è a rischio la stessa sopravvivenza della specie. Dopo il famoso blackout di New York del 1965 ci fu un’impennata delle nascite: ma ora non si parla di un giorno, ma di un lungo momento di mezza vita. Di un letargo. I figli non si fanno in letargo, si fanno quando torna la primavera».
Nel libro ha scritto dello sciopero dei rider di Happydemia, la realtà l’ha subito seguita con quello dei rider milanesi, a inizio novembre. Come fa a «prevedere» questi fatti?
«I fatti, se li guardi in prospettiva e con un po’ di umorismo, ti regalano uno sguardo spostato un po’ più avanti. Quello di cui sono più orgoglioso è aver scritto dei talk show con i politici separati da plexiglas prima che Kamala Harris chiedesse quel tipo di protezione a Mike Pence, nel dibattito pre-elettorale tra vicepresidenti».
Prevedeva anche tensioni sociali: sempre meno persone lavorano, ci sono 5 milioni di nuovi poveri, la rabbia circola.
«La crisi economica e le tensioni seguenti erano prevedibili da chiunque, e persino lo sciopero dei rider. Meno lo era la scelta dell’Europa. L’idea dei sussidi universali di cui scrivo è tornata in auge nell’Unione. Tutto si basa sul concetto che, in un mondo pieno di merci, c’è chi le deve comprare. Bisogna quindi pagare la gente per farla comprare. Non è più il lavoro a produrre ricchezza, ma il consumo. Sono convinto che stiamo entrando in una nuova epoca».
Un’epoca in cui, come abbozza nel libro, saranno rivoluzionati i ritmi, e si vivrà a turni per evitare assembramenti e consentire di consumare 24 ore su 24?
«Pitamiz dice: “O stermini mezzo pianeta o li fai dormire”. L’idea di vivere a turni non è ancora praticata in modo radicale, ma si pensi agli orari scolastici serali o nel weekend proposti per le superiori, ai turni dei negozi, in Inghilterra gli anziani potevano uscire al mattino dalle 7 alle 8. Quello che pochi sanno è che il nostro sistema basato su 8 ore di sonno, 8 di lavoro e 8 di svago, non è naturale ma un prodotto della rivoluzione industriale. Prima si consumava il necessario e si dormiva in modo più spezzettato. La tripartizione del giorno è un prodotto del capitalismo, e quella organizzazione della vita sta saltando, lo smart working è un punto di non ritorno. Se la Rete aveva già dato uno scossone al ’900, il Covid ne è l’ulteriore rivoluzione».
Nel mondo di Happydemia il vaccino non esiste. Ora gli esperti dicono che è molto probabile un’altra epidemia nel decennio. Riusciremo mai a toglierci la mascherina?
«Sicuramente abbiamo capito che viviamo in un mondo pieno di sputacchi, e di germi. Il mondo è diventato velenoso, gli altri sono nemici. Una traccia culturale molto forte tutto questo la lascia. È un processo lento che si sedimenta».
Non ci salva neanche la politica: tutti i politici che racconta sono pessimi, per motivi diversi. Il Previdente è un vanitoso messo lì per caso, il Segretario del Partito Lavoro Guadagno Pago Pretendo è un inetto, il ministro degli Affari Miei è un inutile, e l’ex ministro dell’Interno un depresso.
«La pandemia ha mostrato i limiti dei potenti. Prima responsabilizzavamo i politici, adesso il re è nudo. Con le dovute differenze, li abbiamo assolti, ma è finita l’idea che la politica sia onnipotente. È diventata solo una gestione».
Si è forse riferito a qualche politico reale?
Ride. «Il punto di partenza del Previdente è ovviamente Giuseppe Conte, il secondo che citava è Nicola Zingaretti, poi Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Quest’ultimo non ha più nemici, migranti e intellettuali, il virus li ha inghiottiti tutti. Di Maio è diventato ministro degli Affari Miei e si sente più a suo agio, non essendoci più gli Esteri. La critica al Pd di Zingaretti, seppur fatto da buone persone, è invece l’assoluta mancanza di idee e di prospettive: se dovessi dire che cosa pensa il Pd oggi non saprei farlo. Del resto anche il Previdente dice: “Le idee non servono, distraggono”».
Ultima curiosità: quando il Dpcm non vieta il Carnevale di Gambettola, e nessuno sa perché, mi è venuto in mente lo stupore, all’indomani dell’istituzione delle zone rosse, per la non chiusura dei parrucchieri, e nessuno sapeva perché.
«Ho la risposta. È stato il Previdente del Consiglio. Così amante del decoro e della buona toeletta, del borotalco e di parole antiche come “ristori”, per lui la chiusura del barbiere sarebbe stato il segno dell’avanzata inequivocabile della barbarie».
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Radical chi?Questo articolo è pubblicato sul numero 50 di Vanity Fair in edicola fino al 15 dicembre 2020
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