Prosecco? Da ora chiamatelo Valdobbiadene Docg
La tempesta in un bicchiere di bollicine. Una cantina storica del vino mosso più conosciuto e consumato al mondo, da sempre prodotto sulle colline trevigiane Patrimonio Unesco di Conegliano e Valdobbiadene, ha deciso di eliminare definitivamente la parola «Prosecco» dalle proprie etichette – ma anche da packaging e comunicazione – e tenere solo «Valdobbiadene Docg».
Ciò per differenziarlo dal «prosecco» (vino prodotto nei territori creati nel 2009 che ha esteso la produzione fino al mare) e «prosecco superiore» (vino prodotto sulle colline storiche di Valdobbiadene e Conegliano).
La scelta: diventare una perla tra il perlage. Una scelta drastica e coraggiosa, un cambio di mentalità quello della cantina Col Vetoraz, situata nel cuore della Docg, a 400 metri di altitudine, in attività da 25 anni, che produce 1.200.000 bottiglie l’anno.
Una scelta, peraltro, pienamente consapevole, che in molti guardano come una rivoluzione e di tanto in tanto sale alla ribalta con connotazione da «scisma enologico». Abbiamo chiesto a Loris Dall’Acqua, enologo e amministratore delegato della Cantina Col Vetoraz le ragioni di questa decisione da mosca bianca, prodroma di una nuova filosofia.
Dottor Dall’Acqua, perché vi dissociate dalla parola «Prosecco» ?
«È già dalla vendemmia 2017 che abbiamo tolto dalle nostre bottiglie la scritta Prosecco e lo facciamo per rimarcare il valore autentico dello spumante che produciamo. Quella delle colline del Conegliano Valdobbiadene è una storia secolare che improvvisamente, nel 2009, ha ricevuto un violento scossone: per una scelta esclusivamente di politica economica, “prosecco”, da quel momento, non è più la vite che ottocento anni fa ha trovato qui dimora ideale, ma è diventata una denominazione estesa su nove province, tra Veneto e Friuli».
Questo cosa ha comportato?
«Ha generato una situazione caotica, di confusione: oggi la parola “prosecco” è diventata generalizzante, col rischio reale di banalizzare e cancellare la secolare storia e vocazione delle colline di Valdobbiadene e Conegliano. Con l’estensione della Doc si produce “prosecco” in territori privi di storia enologica, dove la coltivazione della vite non è tramandata di generazione in generazione dalla sapienza dei vecchi, ma ha assunto una visione prettamente industriale».
Quindi la vostra è una difesa del vino o del terroir?
«Di entrambi. Perché entrambi sono frutto di lavoro scrupoloso e appassionato, di ascolto e adattamento ai cicli naturali per puntare all’eccellenza. Le colline che si estendono tra Valdobbiadene e Conegliano, da più di 800 anni ospitano la coltivazione della vite e ora sono anche state riconosciute Patrimonio Unesco. La storia di un vino, soprattutto se di origine antica come il nostro, è intimamente legata non solo alla terra che lo produce, ma anche agli uomini e alle donne che con esso sono cresciuti. Terra, clima, vino, costumi, tradizioni: in tutto questo sta il vero significato di “terroir”».
Però voi avete tolto anche la parola Conegliano…
«Da disciplinare possiamo usare anche solo Valdobbiadene Docg. Del resto la nostra cantina si trova proprio a Valdobbiadene».
In definitiva, per orientare bene il consumatore cosa si può dire?
«Che solo il Valdobbiadene Docg è denominato Prosecco Superiore, perché proviene da un sistema collinare con vocazione viticolo-enologica secolare, dove le uve hanno caratteristiche fisiche uniche date da una condizione pedologica e microclimatica ideale. Il consumatore deve sapere che l’integrità originaria mantiene gli equilibri naturali, l’armonia e l’eleganza che sono la chiave della piacevolezza di un buon calice di bollicine».