Assolto per “delirio di gelosia”, la psicologa: «Diverso dal delitto d’onore»
Il pm aveva chiesto l’ergastolo. Il processo, in Corte d’Assise a Brescia, è finito con l’assoluzione. Il caso è quello di un femminicidio. Antonio Gozzini, 80 anni, accusato di aver ucciso la moglie Cristina Maioli, il 4 ottobre del 2019, è stato assolto perché ritenuto incapace di intendere e volere per un totale vizio di mente avendo colpito durante «un delirio di gelosia».
Gozzini, ex assistente tecnico scolastico, in cura per depressione, aveva colpito la moglie con un mattarello e poi l’aveva accoltellata alla gola e alla testa. Aveva poi tentato di togliersi la vita. A salvarlo era stato un amico a cui aveva telefonato dopo il delitto.
La procura ha annunciato ricorso in appello, dopo che saranno rese note le motivazioni della sentenza. Immediate sono arrivate le reazioni delle associazioni per i diritti delle donne. In questo caso però sono prima di tutto le parole a dover essere comprese e dosate: delirio di gelosia, non è il cinematografico dramma della gelosia che finisce con i particolari in cronaca.
«Un caso come questo non può essere trattato come un femminicidio banalizzato o come un ritorno al delitto d’onore», spiega Vera Cuzzorea, psicologa giuridica e psicoterapeuta Consigliera dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, «Stiamo parlando di un paziente presumibilmente psichiatrico come emergerebbe da due perizie, una della difesa e una della procura».
Non solo un disturbo depressivo, ma anche un disturbo delirante, un «disturbo dello spettro psicotico che espone a una non consapevolezza» rispetto alla situazione. Secondo la psicologa si delinea, almeno per quanto è emerso dai dettagli resi noti, la non imputabilità dell’uomo. «In questa condizione viene meno la capacità di autodeterminarsi della persona» aggiunge Vera Cuzzocrea che specifica come il sottotipo del delirio in questo caso era la gelosia.
«Un delirio rientra all’interno di una dimensione psicopatologica e psichiatrica di cui non c’era consapevolezza, va certamente distanziato da concezioni antiche come quella del delitto d’onore» prosegue la psicoterapeuta. È una dimensione di malattia che appare chiara anche nel trasferimento, dell’uomo, attualmente in carcere, in una Rems, la residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, dopo la sentenza.