Un antitodo chiamato amore
Questo articolo è pubblicato sul numero 45 di Vanity Fair in edicola fino al 10 novembre 2020
Il vero problema è che abbiamo perso l’innocenza: a marzo, quando è iniziato il primo lockdown, in fondo al tunnel c’era la speranza, l’andrà tutto bene, le canzoni sui balconi, le infornate di torte, le dirette Instagram. Tutti confinati, alcuni soli, altri in compagnia, comunque tutti convinti che si dovesse sacrificare qualcosa per riavere indietro tutto.
E invece eccoci qui: più delusi, più arrabbiati, forse persino più impauriti di prima. Perché a spaventarci non ci sono solo il virus e la prospettiva di un ennesimo crollo del lavoro, dell’economia e delle sicurezze: ci mette ansia non vedere la luce in fondo al tunnel, la fine di questo anno così terribilmente memorabile.
E qui arriva questo nuovo, provocatorio numero di Vanity Fair: abbiamo pensato un giornale per celebrare il desiderio, l’amore, la vita, il corpo nostro e quello degli altri, la sessualità nostra, quella di chi amiamo e di chi desideriamo, oltre questo momento difficile.
Lo facciamo innanzitutto con un personaggio di copertina che ha scelto di smettere i panni consueti per vestire quelli di chi non ha alcuna intenzione di rassegnarsi alle asperità: una Cristina D’Avena splendente, fiera, padrona del proprio potenziale erotico, umano, affettivo. Per lei valgono solo due cose, in questo momento: la tolleranza e la speranza. Che senso hanno, voi direte? Che mai hanno a che fare con l’eros? Bene, leggete attentamente la sua intervista per capirlo.
Le sorprese non finiscono qui: se ovunque troverete paura e sconforto, noi vi mostriamo il desiderio che non conosce età, la storia di alcune icone della sessualità, le vicissitudini dei single (ma non solo) alla ricerca di amore e sesso su Tinder, il valore dei tabù e del peccato. In più, questa settimana il nostro sito e il nostro profilo Instagram si tingeranno di rosso con una serie di dirette, interviste e speciali per ragionare insieme sul desiderio, sulla sessualità e sul corpo oltre il momento difficile e oltre gli stereotipi.
Lo scopo di tutto questo è uno solo: celebrare la vita. Nonostante tutto. Oltre tutto. Perché se, come scrive Roberto D’Agostino, «questa esperienza ci dà il senso della precarietà dell’esistenza e della fragilità della società», è anche vero che l’unico modo di affrontarla è farlo non dimenticandoci di amare. Noi stessi, chi ci sta vicino, chi ci sta lontano, chi desideriamo. Senza nessuna paura.
Buona lettura
PS: continuate a scrivermi pensieri, consigli e riflessioni a smarchetti@condenast.it