Silvia Salemi: «Una vita senza compromessi»
Chagall, come il pittore che più preferisce. Silvia Salemi, all’oscurità della stasi, del periodo più buio che la società si sia trovata ad affrontare, ha voluto contrapporre la luce di un momento, di un amore. Il chiarore di una forza vitale, capace di restituire senso ed armonia all’incedere di una vita sospesa. «Viviamo un’epoca in cui siamo circondati di sofferenza e problemi, di difficoltà da risolvere. È cambiato il mondo e il modo di percepire l’altro, è cambiato il modo di relazionarsi all’altro. Ci sono state sottratte le piccole gioie del quotidiano. Se manca un abbraccio, manca la bellezza del vivere», ha spiegato la cantante, i capelli corti come nel Sanremo 1998. «Avevo bisogno di essere dare forma a qualcosa come Chagall», brano pubblicato il 25 settembre scorso. «Qualcosa che fosse bello, senza parlare di quello».
https://www.youtube.com/watch?v=6kLJ64xCNvs«Quello», il Coronavirus?
«Il periodo che abbiamo vissuto e stiamo vivendo. Perché oggi quel che vedo è una seconda ondata, come se il Covid-19 e le norme di distanziamento non fossero state superate emotivamente, ma accantonate. Personalmente, avevo bisogno di agganciarmi ad una cosa per me suprema, l’arte pittorica, l’estasi di un’anima in sospensione, catapultata in dimensioni altre. Chagall è la risultante di uno bisogno presente ed è un brano che mi rappresenta, nell’aspetto cantautorale, nella sonorità pop-rock».
Nel singolo, parla d’amore.
«E di contrasti. Perché il cuore non è fatto per dimenticare. Tutto ciò che entra nella testa lo si può gestire: processare, riordinare. La testa è un computer, il cuore no. Se ami, è amore, e questo fa il cuore: sente le emozioni e le tiene dentro, senza scordarsene».
Amore è anche il rapporto che la lega a Sanremo. Coronavirus permettendo, pensa ci tornerà?
«Tutto quello che ho fatto, all’interno del mio percorso artistico, l’ho costruito da lontano, passo dopo passo. Quando ho deciso di mettermi in discussione anche come conduttrice, sapevo che avrei dovuto farlo con calma. Ho bisogno di pensare il progetto, per attuarlo poco alla volta. Sanremo, purtroppo, è governato da meccanismi più grandi di me, ed è un po’ utopistico, oggi, pensare che si possa fare. Ciò detto, il Festival non fa eccezione alla mia regola. Mi piace pensare che potrei parteciparvi solo possedendo una grande canzone».
Nessuna logica pubblicitaria, dunque.
«No, mai. Non sono solita applicare ottiche di convenienza. Ci sono artisti che, ad inizio anno, stilano un calendario. “Questo Festival sì, quest’altro no”. Io scelgo i miei palchi sulla base di un’onesta riflessione artistica. Niente più».
Ma un album, oltre a Chagall, lo ha?
«Viviamo in una società liquida e questa liquidità è anche nella musica. Oggi, impera una logica diversa da quella di un tempo, quando da un album completo venivano estratti più singoli. Oggi, si compongono brani diversi, la cui unione va a formare un disco concettuale. È l’hic et nunc. Si scrive nel presente, con il presente».
Sta dicendo che il suo prossimo progetto sarà concettuale?
«Avrà contenuti che possano andare bene oggi e anche domani. A casa di Luca, la canzone che più mi identifica, parla di un’epoca in cui si sono persi alcuni valori. Racconta la scomparsa della semplicità, una vita complicata dalla digitalizzazione. L’ho scritta venticinque anni fa, eppure mantiene intatto il proprio senso. La mia più grande aspirazione è fare canzoni che venticinque anni dopo conservino una loro attualità».
Quindi…?
«Arrivata a 42 anni, so quali compromessi posso fare e quali no. Sono alla ricerca di una musica non urlata, cantautorale. L’album conterrà un duetto con un artista come me, che non ha fatto alcun compromesso commerciale».
Cioè?
«Sono consapevole di come anche la canzonetta possa avere un grande peso sociale. A fine pasto, ci vuole il dolce e non è possibile vivere solo di salato e amaro, di canzoni che invitino all’impegno civile o politico, che muovano le coscienze. Solo che io, queste canzoni, non le so fare. In questo senso, non scendo a compromessi».
Ma, negli anni, non è cambiato mai il suo modo di scrivere?
«Sono scesa a patti, e ben volentieri, con i suoni nuovi. Ero una purista della musica suonata. Oggi, ho accettato la digitalizzazione, i computer, i suoni campionati. Quel che ho mantenuto intatta è una ricerca onesta e marcatamente sincera, perché, credo, questo paghi».
Lo dice lei o lo dicono gli altri?
«Entrambi. Tanti fan mi ringraziano e si complimentano con me. Non mi sono mai spogliata. Anzi, mi sono sempre penalizzata dal punto di vista estetico. Mi sono tagliata i capelli a zero quando avevo diciott’anni, mi sono messa i cargo quando avrei potuto infilarmi le minigonne».
Sono state scelte consapevoli o atti di ribellione post-adolescenziale?
«Mi ha aiutata quel faro che è mia sorella, che mi parla dall’Aldilà. Ho capito che con il mio caschetto banale, con un viso carino ma ordinario, non avrei mai lasciato un segno. Dopo aver scattato la copertina per Sanremo, sono uscita dallo studio e mi sono infilata in un parrucchiere. Gli ho detto: “Adesso taglia”».
Oggi, nell’era dei social e della pressione alla perfezione, è madre di due figlie, Sofia (15 anni) e Ludovica (11 anni). Come si comporta?
«Cerco di mostrarmi loro come una mamma non competitiva. La cosa più bella è vederle rubare i vestiti dal mio guardaroba, è la mia vittoria. Sembra banale, lo so, ma sarebbe tremendo il contrario, se fossi io a rubare le minigonne inguinali a mia figlia quindicenne. È la mamma che lascia il segno sulla figlia, e rubarle la giovinezza credo sia un messaggio tremendamente diseducativo. Le mie bambine hanno capito che il corpo non è solo un elemento di passaggio su questa terra, non è solo un’armatura. Il corpo è quel che sei».
Spesso, condivide le sue bambine sui social. Cosa la spinge a mostrare il suo privato?
«La vanità di una madre che fa sfoggio delle proprie ricchezze. Il messaggio che sto trasmettendo, con ogni loro fotografia, è “Guardate i miei gioielli”. A volte, le bimbe sono divertite, altre inorridite. Sono femmine, nel senso più puro del termine»
Per le sue figlie, è stata lontana dalla musica dieci anni. Rimpiange mai questa scelta?
«Mai. È stata la scelta più naturale che potessi fare. Fare figli non vuol dire riprodursi. Fare figli vuol dire mettere al mondo un bambino e dargli una madre che, nel rispetto del proprio lavoro, lo segua. Potendo scegliere, ho deciso di perdere la carriera e di non essere più in auge, perché un figlio viene prima di tutto. Mi sono ritirata dalle scene per avere due figlie assennate, studiose, capaci di uscire da sole ed usare un telefonino in modo consono. Mi sono detta che quando le ragazze fossero state autonome, sarei rientrata. Nessuno mi stava aspettando a braccia aperte, perché passa il tempo e il settore è produttivo. Ma l’ho fatto».
E ora cosa la attende?
«La cosa a cui tengo di più è mantenere un impegno costante a RaiRadio2, perché mi piace tantissimo parlare di musica in contesti credibili. È un servizio pubblico, richiede impegno e preparazione, e mi sta arricchendo molto. Poi, sto preparando un programma televisivo che mi permetta di tornare alla conduzione. E ci sarà, lockdown permettendo, un progetto teatrale a sorpresa. Vorrei riuscire ad avere un doppio ruolo: fare musica, ma parlarne anche».