Ho fatto il test sierologico rapido, un quarto d’ora per sapere che…
Si chiama, familiarmente, pungidito ed effettivamente non è niente di più di una puntura al dito. La sensazione della puntura rimane ancora per qualche ora dopo aver fatto il test per lo screening sierologico degli studenti e dei loro familiari che la regione Emilia-Romagna fornisce gratuitamente attraverso più di 800 farmacie.
Possono fare il test, che è gratuito e volontario, tutti i bambini e ragazzi da 0 a 18 anni e i maggiorenni che frequentano la scuola secondaria superiore, con i loro genitori, fratelli e sorelle e gli altri familiari conviventi.
Io l’ho fatto in quanto madre di un alunno della scuola media. Il test è da prenotare e alla prima chiamata ho temuto che fosse difficile. La farmacia che ho contattato alle porte di Bologna mi ha detto che aveva posto solo giovedì 5 novembre. Lo stesso la seconda. La terza aveva invece uno spazio il giorno seguente.
Per prenotare non serve altro che nome e numero di telefono. All’appuntamento chiedono invece di compilare un modulo con nome, indirizzo, un documento di riconoscimento, il codice fiscale, il nome del figlio o della figlia e l’indicazione della scuola che frequenta. Tutti dati che finiscono in un data base e che serviranno se il risultato è positivo. L’esame si può fare più volte a distanza di 60 giorni fino al 30 giugno 2021.
Arrivata alla farmacia ho aspettato, all’esterno, che finisse la persona prima di me. È stato il momento in cui ho davvero pensato alle possibili conseguenze della scelta di fare il test. Non ho avuto alcun sintomo in tutti i mesi passati, ma ho spesso pensato che potevo essere asintomatica. Forse l’ho sperato con il pensiero di essere in qualche modo protetta dal virus. Con il test lo si scopre perché segnala gli anticorpi presenti, compresi quelli che indicano il passaggio del virus: immunoglobuline M prodotte nella fase iniziale della malattia e che poi scompaiono e IgG che rimangono all’interno dell’organismo per un periodo più lungo.
Il pensiero seguente e immediato è stato che potevo essere positiva e che, in questo caso, avrei dovuto fare il tampone, obbligando mio marito, mio figlio e tutti gli altri venuti in contatto con me a tamponi e quarantena. Ultima mi è venuta alla mente l’ipotesi del test negativo che suonava un po’ come un nulla di fatto, anche se poteva essere letto come un’attestazione di buona condotta in tutti questi mesi.
Entrata, con la mascherina e dopo aver igienizzato le mani con il gel, ho compilato i moduli e atteso che l’addetto si mettesse i guanti e preparasse il kit: la puntura è improvvisa e veloce su un dito, il sangue esce e viene raccolto per essere poggiato sullo stick. Qui viene aggiunto il liquido per la reazione che porta al risultato. È l’ultima cosa che vedo perché vengo poi invitata ad aspettare all’esterno.
Passano meno di 10 minuti e vengo chiamata con la comunicazione che il mio test è negativo. Sollievo? Sì, ma soprattutto consapevolezza che è possibile sapere qualcosa di più sulla propria salute in pochi minuti. Più che la gioia di non essere malata, mi ha colpito la rapidità del test, il fatto che la scienza ha saputo darmi una risposta e che esiste una forma organizzata di gestione del tracciamento.
L’altro grande sollievo me lo hanno dato i dati Federdarma Emilia-Romagna con l’altissimo numero di prenotazioni in tutte le farmacie, segno che in tanti hanno chiesto questo tracciamento e hanno voluto sottoporsi al test. Solo nella prima giornata sono stati fatti fra gli 8 e i 10mila test, senza che ancora tutte le farmacie fossero attrezzate per fare i test e con alcune disponibili solo in orari limitati.
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