Antonia Liskova: «Il senso del sacrificio che mi ha salvato la vita»
«L’Italia non è un paese razzista». Antonia Liskova lo ripete con una certa insistenza, tornando indietro a quando, appena diciottenne, arrivò a Roma dalla Slovacchia per costruirsi una nuova vita. «In quel periodo l’Italia era piena di tante persone arrivate dall’Est, una vera e propria valanga. Da una parte c’era la curiosità di capire chi fossero, ma dall’altra la vivevi come se fosse un’invasione. Nella vita ho imparato a dire non gli “italiani” ma “l’italiano”, non gli “africani” ma l'”africano”: il mondo va a essere umano, non può essere ricondotto a una razza». È per questo che Antonia giustifica il senso di smarrimento che prova un padrone di casa nei confronti di un ospite che potrebbe non rispettare le sue regole e sfata il luogo comune che gli italiani siano un popolo ostile e chiuso verso l’altro.
https://www.youtube.com/watch?v=JAkLYrnoHdgTralasciando il discorso molto più complesso degli sbarchi – «Ci sono modi diversi di gestire le cose. Anche gli italiani sono stati migranti, io stessa lo sono stata» – Liskova, 43 anni, si reputa in tutto e per tutto italiana. Non solo perché a Roma ha dato alla luce sua figlia Liliana e convive serenamente con il compagno, il produttore esecutivo Gabriele Guidi, ma anche perché ha costruito una carriera che, tra il cinema, il teatro e la televisione, l’ha sempre portata a interpretare donne forti che solo di rado appartenevano a una nazionalità straniera. L’ultima è la protagonista de I Liviatani – Cattive attitudini, il nuovo film di Riccardo Papa, disponibile sulle piattaforme digitali, nel quale veste il ruolo di una matriarca che cerca di tenere le redini della sua famiglia. In autunno arriverà, poi, la terza stagione dell’Allieva, la popolare fiction di Raiuno che la vedrà recitare al fianco di Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale, mentre a ottobre sarà sul set di Addio al nubilato, un film scritto dalle donne per le donne che vedremo con molta probabilità il prossimo anno su Amazon e che racconta l’evoluzione del rapporto di quattro amiche «che non sono diventate quello che sognavano di essere da piccole».
Ne I Liviatani interpreta una madre maniaca del controllo, altera: come ha vissuto il ruolo?
«Mi sono divertita come una pazza. È una madre meravigliosa e autorevole che per la sua famiglia farebbe qualsiasi cosa: il paradosso, forse, è che la ama troppo. La sua è una famiglia matriarcale in tutto e per tutto, peccato che, nonostante lei voglia essere la tipica donna che comanda e che muove i fili, la rigirano sempre come gli pare».
La sua famiglia è matriarcale?
«Il mio compagno per prendermi in giro dice che sono “un mostro dell’Est”, ma non lo sono affatto. Con mia figlia ho sempre detto di non essere una sua amica e ho sempre cercato di darmi un tono, le dico che vengo dall’Est e che sono stata educata in una certa maniera, ma poi mi cedo e mi arrendo. Vorrei essere più autorevole, ma tengo ancora duro».
Il sottotitolo del film è «Cattive attitudini». Lei ne ha una?
«Andare in fissa con le cose, non pensare ad altro se non a quelle. Divento insopportabile anche con me stessa, è una tendenza terribile: finché non ne sono venuta a capo, vado completamente in loop. Sono riuscita a risolvere molti problemi con l’età, ma da questo proprio non riesco a liberarmi».
È sempre stata così determinata?
«Sempre, anche se certe volte mi dico che se non fossi stata così molto probabilmente oggi non sarei in Italia. Quando ero piccola sapevo solo che non volevo vivere dove sono nata: ero convinta che la mia vita avrebbe dovuto prendere una direzione completamente diversa. Se non fossi andata in fissa con questo pensiero, forse non mi sarei mossa da lì».
Perché voleva andare via dalla Slovacchia?
«Non riuscivo a sentirmi connessa alla dimensione umana che mi circondava. Vengo da un piccolo paesino di campagna, tutto una fattoria, e, se da una parte ho eredito l’amore per i boschi e gli animali, dall’altra c’era qualcosa che mi disturbava. A un certo punto è nata in me una vera e propria ribellione verso qualsiasi cosa: volevo stare in città, staccare i fili con i miei genitori. Non mi piaceva nemmeno parlare con le mie amiche: se passava una macchina bella le altre fantasticavano sull’uomo che avrebbero voluto sposare per averla, io pensavo che la macchina me la sarei voluta comprare da sola. Quando ho cominciato a odiare qualsiasi sassolino di quel posto ho capito che dopo la scuola sarei dovuta andata via».
Ci torna ogni tanto, in Slovacchia?
«Spessissimo: l’essere umano che sono oggi lo devo a quel luogo, al lavoro e ai sacrifici dei miei genitori, che facevano gli operai. Il senso del sacrificio mi ha salvato la vita».
A 18 anni arriva a Roma: l’italiano lo parlava?
«No. Parlavo perfettamente inglese e, piano piano, visto che amo le lingue e le imparo velocemente, mi sono messa sotto. Dopo sei mesi capivo perfettamente l’italiano e lo parlavo abbastanza bene, ma c’era il preconcetto della donna dell’Est, quella che veniva in Italia per rubare gli uomini o fare la prostituta. Era difficile dimostrare che ero lì per cercare un mondo migliore, mantenendo le mie regole e la mia dignità. Ho lavorato come cameriera, baby-sitter, traduttrice…».
La recitazione arriva più tardi, infatti. In Slovacchia aveva mai fantasticato di diventare attrice?
«Mai. Per quasi due anni ho lavorato come modella a Milano e lì conobbi una ragazza che voleva diventare attrice. A me, però, non interessava, vedevo quello che facevo come un mezzo per guadagnare e aiutare me stessa e la mia famiglia. Non avevo nessun tipo di ambizione o velleità artistica, semplicemente fare la modella mi dava più soldini rispetto a fare la cameriera. A un certo punto questa ragazza, che aveva un’agenzia di attori a Roma ed era anche lei dell’Est, mi chiese di accompagnarla per fare un provino per il ruolo di una spia russa – il film era Game Over, con Alessandro Gassman. Dopo che finì mi chiesero di entrare e scoprii che stavano proprio cercando un profilo come il mio, un po’ mascolino».
Mascolina lei?
«Sono quasi 20 anni che non faccio sport perché, appena comincio, metto subito su il muscolo. All’epoca ero, quindi, il prototipo perfetto della spia russa, bionda, con gli occhi verdi e robusta: mi fecero il provino, mi presero e iniziò tutto così».
Lei, da fiction come Incantesimo e Tutti pazzi per amore a film come La banda dei Babbi Natale e A Tor Bella Monaca non piove mai, ha sempre recitato il ruolo dell’italiana, quasi mai della straniera.
«Sa che non ci avevo mai pensato? Effettivamente è così. Sarà stato perché avevo imparato molto bene l’italiano e abbastanza presto. Vede? E poi qualcuno dice che l’Italia è razzista: sono anni che non mi considero più una straniera in questo paese e sarà per questo che non ho mai fatto caso al fatto di interpretare sempre ruoli italiani».
Un altro ruolo italiano in cui la vedremo presto è quello dell’Allieva 3, che tornerà in autunno su Raiuno. Com’è stato entrare a far parte di una serie così amata dal pubblico?
«È stata un’esperienza stupenda, Alessandra e Lino sono pazzeschi, capisco perché i fan li amino così tanto. Subito dopo la quarantena abbiamo girato con addosso i cappotti e i maglioni di lana e Alessandra, che non solo è presente tutti i giorni ma anche in tutte le scene, non si è mai lamentata: era un po’ come se tutti ci dicessimo, se non lo fa lei, perché dovrei farlo io?».
L’Allieva 3 è stato uno dei primi set a ripartire dopo il lockdown. Come ha vissuto il confinamento?
«Da una parte non riuscivo a guardare più il telegiornale perché assimilavo tutta quella sofferenza e ci stavo male, ma a livello famigliare è stato un periodo molto bello. Ho riscoperto la chiacchiera a tavola, ristabilito un contatto con mia figlia con la quale ci eravamo un po’ perse visto che è un’adolescente che sta cominciando a prendere la strada dell’adulta, e anche con il mio compagno: lavoriamo nello stesso ambiente e in certi giorni capitava di non incontrarci perché, magari, io ero impegnata di giorno e lui di notte. È stato un periodo in cui ho pensato molto e ho fatto un grande lavoro su me stessa: la cosa che mi ha deluso è stata, però, uscire e trovare un mondo ancora più incazzato di prima. Credo che siamo peggiorati. Un grande dispiacere».