Non condividere il dolore legato a una perdita sui social non significa essere meno tristi
Gli ultimi mesi sono stati pesantissimi in tutto il mondo. In tanti hanno perso delle persone care a causa del Covid19, e il destino ci ha messo del suo facendoci soffrire la scomparsa di alcuni personaggi, da Kobe Bryant a Ennio Morricone, che con il loro talento e la loro esistenza hanno arricchito la vita di milioni di persone.
L’ultima è Naya Rivera, attrice di Glee e scomparsa tragicamente qualche giorno fa durante una gita in barca con il figlio: in questi giorni gli amici e i colleghi nonché i fan della serie si sono uniti nel renderle omaggio tramite i social celebrandone l’intelligenza e il coraggio e sottolineando l’importanza del suo personaggio in Glee nel percorso di scoperta e accettazione della propria sessualità di molti ragazzi.
C’è anche chi ha scelto di rimanere in silenzio, come la collega Lea Michele, che si sarebbe limita a postare una foto dell’attrice nelle sue IG Stories, subendo uno shitstorm di insulti tale da aver addirittura deciso di cancellare il suo account Twitter.
Sicuramente Lea Michele non è propriamente amata dalla community di Glee dato che ultimamente il cast l’ha accusata di essersi comportata malissimo durante le riprese, vessando e bullizzando i colleghi e discriminandoli in vari modi. Un comportamento che lei stessa ha ammesso e per il quale si è scusata, ma che ovviamente non può essere cancellato con delle scuse.
È però anche vero che ognuno vive il lutto a modo proprio, e la condivisione sui social non simbolo di sofferenza più di un silenzio. Mi spiego meglio: i social network sono parte delle nostre vite ed è naturale che li si usino per condividere le proprie emozioni. Ma non è obbligatorio farlo, soprattutto in un momento in cui siamo fragili e magari vogliamo rintanarci in noi stessi.
Non condividere il dolore legato a una perdita sui social non è sintomo del fatto che sono meno triste, significa semplicemente che non è un argomento che voglio condividere. È un mio diritto, e nessuno dovrebbe pensare che il mio lutto è meno pesante del suo perché lui ha fatto un post e io no.
Quando muore una persona molto famosa vedo spesso una valanga di post di tributo negli account delle persone che seguo, e qualche volta mi domando se tutte queste manifestazioni di affetto e di dolore siano sincere, se in molti non stiano semplicemente seguendo il flusso. Perché lo penso? Semplicemente perché io non lo faccio mai, per cui il mio primo istinto è quello di giudicare secondo il mio metro di giudizio.
Ovviamente è sbagliato: ognuno ha il suo modo di elaborare il lutto e il fatto di condividere una perdita o di rendere omaggio a un talento scomparso non significa che si tratti di pornografia del dolore. Cerco di ricordarmelo ogni volta che mi succede di inciampare di nuovo in quell’istintivo senso di fastidio, perché il mio modo non è migliore di quello degli altri, è semplicemente il mio.
Però vorrei che fosse capito e rispettato anche il diritto di stare zitti quando stiamo soffrendo, che sia per una perdita o per qualsiasi altra cosa: ognuno vive il dolore a modo proprio e i social sono solo uno strumento con cui possiamo condividere con gli altri una parte di noi. Ma nostro modo e secondo le nostre modalità, non quelle degli altri.