Gli abiti siamo noi
I numeri, innanzitutto: il comparto italiano della moda, tra aziende, boutique, laboratori, showroom, marchi e altri addetti ai lavori conta milioni di lavoratori e nel 2019 ha fatturato circa 100 miliardi di euro, confermandosi come la seconda industria italiana più importante dopo quella dell’automobile. Il record, poi: il 70% di quello che la moda italiana produce viene esportato, facendo slittare questo settore al primo posto nella bilancia attiva dei pagamenti. Infine, una precisazione: in Europa, la produzione italiana del tessile si assesta al 41% superando di ben 30 punti la Germania, al secondo posto con l’11% e staccando largamente la Francia, nostro ideale competitor, che si piazza al quarto posto con l’8% dopo la Spagna. In altre parole: se non ci fosse l’Italia non ci sarebbe la moda
E qui arriviamo al cuore di questo numero: gli abiti siamo noi. Abbiamo voluto dedicare le storie delle prossime pagine alla lunga filiera di uomini e donne che stanno dietro ai vestiti e agli accessori che troppo spesso releghiamo a cliché come «capricci per ricchi», «beni futili», «oggetti dai prezzi troppo alti» o ancora «spese superficiali e senza contenuto». Dietro loro, al contrario, ci sono l’eccellenza e i mestieri italiani, un sapere che ci tramandiamo dalle botteghe del Rinascimento e che è arrivato nelle nostre mani come un tesoro che non ha eguali nel mondo.
In un momento difficile per l’intera economia italiana, dopo aver parlato dell’industria del cinema, del turismo e della musica nei numeri delle scorse settimane, ci sembrava doveroso dedicarci a quella della moda. Non solo per sensibilizzare gli italiani su una ricchezza culturale che spesso viene dimenticata. Ma soprattutto per lanciare un grido d’allarme alla politica. Il settore della moda, infatti, è il grande dimenticato nei decreti di aiuto all’industria. In passato, bisogna ammetterlo, sono pochissimi i politici che hanno contribuito alla sua tutela: tra tutti, non va dimenticato Carlo Calenda che in qualità di Ministro dello Sviluppo economico riuscì a mettere in atto piani reali e pratici. Oggi, invece, si notano solo piccole manovre per piccoli decreti, come quello valido (seppur marginale) proposto proprio in questi giorni da Mariastella Gelmini.
Un’ultima parola sulla copertina di questo numero: vi trovate i ritratti di alcuni addetti alle vendite de La Rinascente di Milano in posa nella Galleria Vittorio Emanuele II. Questi volti vogliono essere il simbolo delle storie, dell’eccellenza, della passione e dell’umanità che spesso dimentichiamo quando pensiamo alla moda italiana. Varrebbe la pena ricordarlo. Per non dimenticarlo più.
Buona lettura