Patrick Zaki, la lettera alla famiglia: «Sto bene e un giorno tornerò libero»
«Cari, sto bene e in buona salute, spero che anche voi siate al sicuro e stiate bene. Famiglia, amici, amici di lavoro e dell’università di Bologna, mi mancate tanto, più di quanto io possa esprimere in poche parole». È un passaggio di una lettera di Patrick George Zaki, il ricercatore egiziano dell’Università di Bologna in carcere in Egitto da centocinquanta giorni, recapitata alla sua famiglia. A darne notizia è la pagina degli attivisti Patrick Libero che trascrive le sue parole in tre lingue: arabo, inglese e italiano. La lettera, si legge, è stata scritta il 21 giugno ma è stata condivisa in Rete il 4 luglio. «Un giorno sarò libero e tornerò alla normalità, e ancora meglio di prima», conclude il ricercatore.
«Naturalmente non ha potuto dire tutto quello che voleva, dato che queste lettere passano attraverso varie mani di sicurezza prima di raggiungere il destinatario. Sì, siamo ancora preoccupati, ma siamo felici di leggere le sue parole», il commento degli attivisti «Patrick libero».
Ventisette anni, Zaki, per una serie di proroghe anche a causa dell’emergenza coronavirus, attende ancora un giudizio sul suo stato di fermo. È in detenzione preventiva nel carcere di Tora, a Il Cairo. Era la notte tra il 7 e l’8 febbraio quando è stato arrestato all’aeroporto de Il Cairo, dove arrivava da Bologna per far visita ai suoi genitori. È stato arrestato senza un processo, dopo un interrogatorio lungo 17 ore, bendato e torturato.
È accusato di propaganda sovversiva, diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e ai crimini terroristici, ma da più parti è stata fatta notare la debolezza delle imputazioni. Amnesty International, insieme all’Università di Bologna e al Comune di Bologna, ha scritto lo scorso aprile una lettera all’ambasciatore italiano al Cairo, Giampaolo Cantini, per chiedergli di fare pressione sul governo egiziano affinché Zaki «sia rilasciato il prima possibile o gli sia concesso almeno di scontare la detenzione preventiva presso il suo domicilio». Secondo l’organizzazione è stato fermato solo per le sue opinioni politiche e per il lavoro fatto in difesa dei diritti umani.