«Ho fatto il test degli anticorpi per il Covid e vi spiego come funziona»
Avrò fatto il Covid in forma asintomatica? Sarò ancora negativa? Funzionano le indagini sierologiche per la ricerca di anticorpi? Queste domande mi rimbalzano nella testa da giorni. Gli esperti sono divisi, le Regioni pure. Il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli spiega alla radio di aspettare indicazioni dall’Istituto Superiore di Sanità. Intanto il governatore del Veneto Zaia fa partire un progetto sperimentale per testare la presenza di anticorpi prima nei dipendenti della sanità e delle case di riposo, chiedendo che l’Università di Padova e Verona lo validino. Cinquantamila analisi tanto per cominciare.
Una start up fiorentina rende possibile dal primo aprile, tramite prenotazione on line, il test sierologico rapido ai privati, purché residenti nel comune di Firenze. Il sindaco Sala, nel suo videomessaggio quotidiano, ha chiesto che anche Milano si attrezzi per partire.
Alcuni giorni fa, ho intervistato il sindaco di un paesino del Pavese che ha cominciato in modo totalmente autonomo e in accordo con un laboratorio privato del Vercellese, a offrire a tutti i suoi cittadini la possibilità di essere testati su base volontaria al costo di 45 euro a prelievo. Decido di ricontattarlo e chiedergli se, come giornalista, posso sottopormi all’analisi: voglio capire di più e raccontare nel dettaglio che cosa avviene. Roberto Francese è ormai sommerso di richieste di interviste da tv e giornali, nazionali ed esteri, ma in due minuti mi arriva il suo whatapp: l’aspetto domani mattina alle 9.15.
Sono le 10 di sera, ma comincio ad essere in ansia. Non so niente di preciso, se non l’indirizzo del Palasport di Robbio dove da una settimana sono stati eseguiti circa 700 test con il supporto di una rete di volontari di tutta la cittadina. È più di un mese che non esco da Milano: prendere la macchina e percorrere l’autostrada mi dà una sensazione di ebbrezza e disorientamento insieme.
In un’ora circa arrivo a destinazione. Non sono ancora le 9 del mattino ma il piazzale davanti al Palasport è già pieno di persone in fila, rigorosamente a distanza di sicurezza e tutte bardate di mascherina, che aspettano il loro turno per il prelievo.
Mi accoglie il sindaco, già in prima linea per accertarsi che la «sua gente», segua tutte le procedure necessarie. «Un’azienda locale», mi spiega, «oggi ha prenotato e pagato i test per tutti i suoi dipendenti, in modo da poter decidere chi far tornare al lavoro in sicurezza». Mi racconta che a documentare tutto quello che sta facendo (anche il mio esame) c’è Gabriele Latrofa, fotografo di matrimoni adesso convertito in reporter sul campo.
Prima di sottopormi al test, un classico prelievo del sangue, è il dottor Andrea Adessi, responsabile del laboratorio che ha dato la propria disponibilità a eseguire l’esame a tutti i cittadini di Robbio a spiegarmi in che cosa consiste.
«Non abbiamo inventato niente, si tratta di un semplice test sierologico per verificare se il soggetto è negativo, infetto o ha sviluppato l’immunità. I test sono stati prodotti in Cina e sono gli stessi che ha acquistato il Veneto. Hanno un livello di accuratezza del 96 per cento, ma in medicina non esistono test che funzionano al 100 per cento».
Ma cosa cerca esattamente?: «È come quello della Toxoplasmosi, giusto per fare un esempio», mi spiega il medico, «si individuano nel sangue del paziente gli anticorpi generati dall’organismo. I primi (IgM) si manifestano all’inizio della comparsa dei sintomi e segnalano la presenza del contagio, per gli anticorpi IgG, invece, bisogna un periodo più lungo. Questi ci dicono che il paziente è entrato in contatto con il virus e ha sviluppato immunità».
Quello che si cerca qui non sono gli infetti, può succedere di identificarne uno, ma per chi ha sintomi l’esame d’elezione resta il tampone. Qui si va a caccia di chi non ha mai preso il virus o ancora di chi, magari senza aver avuto mai alcun sintomo, ha già sviluppato immunità verso il Covid. Sono proprio questi i soggetti che per primi potrebbero, quando si riaprirà, tornare per esempio al lavoro. E questa informazione potrebbe essere fondamentale per la ripresa economica del Paese.
A questo punto sono quasi pronta per l’esame, ho compilato il modulo di anamnesi in cui mi si chiede se ho avuto sintomi o se sono stata in contatto con qualcuno che ha sviluppato la malattia. Spiego di non aver mai avuto nulla, a parte un insolito mal di testa per alcuni giorni tre settimane fa e di aver cenato 28 giorni fa con una persona che poi ha sviluppato il Covid pur non avendo avuto un tampone che lo dimostrasse con certezza assoluta. In Lombardia senza ospedalizzazione, non c’è tampone.
Il medico mi dice che potrei essere una di quelle persone che ha fatto il virus in modo asintomatico e che ora gode di immunità o ancora potrei non averlo proprio preso. «Ci sono persone», mi spiega, «forse un giorno capiremo perché che pur entrando in contatto col virus non si contagiano».
Sono pronta: tolgo il cappotto, mi siedo. In due minuti mi fanno il prelievo. Un’operazione rapida e semplice. «Lo è», dice Adessi, «e quello che non capisco è la reticenza delle istituzioni. Noi ci siamo messi a disposizione del pubblico, con spirito di collaborazione, per fare insieme delle analisi capillari e ad ampio spettro che ci diano dei risultati sui quali studiare e ragionare, ma non abbiamo avuto riscontri. Servirebbe uno screening di massa per far ritornare la gente a una graduale normalità, ma la sensazione è che da problema sanitario, questo sia diventato un problema politico».
Mi rialzo. «Prema ancora per un minuto, le manderemo l’esito via mail. Per i risultati ci vogliono 24, 48 ore. Ma adesso stiamo facendo molti esami e i tempi potrebbero allungarsi un po’», con queste parole vengo congedata.
Risalgo in macchina e guido verso casa: in quella provetta che ho lasciato in un Palasport al confine tra Lombardia e Piemonte c’è un pezzettino del mio futuro e potrebbe esserci un pezzettino di quello di tutti noi. Se dovessi risultare immune perché ho già fatto il virus potrei sentirmi più leggera sapendo che non potrei inconsapevolmente contagiare i miei familiari o qualche sconosciuto mentre faccio la spesa o vado in farmacia. Potrei essere più serena per i miei colleghi quando tornerò al lavoro. Non abbasserei la guardia, perché la certezza del test mi hanno spiegato non è assoluta e, anche se lo fosse, non sappiamo ancora che tipo di difesa offrano gli anticorpi ai soggetti immuni visto che questo è un virus nuovo e di cui ancora si sa pochissimo, ma un po’ più tranquilla di sicuro sarei.