100 miliardi al mese e un posto di lavoro incerto. Quanto vale la nostra salute
Rischiare il lavoro o la salute, il guadagno o la sicurezza? Scaricheremmo tutti il primo, privilegiando la seconda senza manco pensarci. Ma la realtà è sempre più complessa, quando ci sono di mezzo «i protocolli per garantire la sicurezza a tutti gli operai», 100 miliardi di perdite al mese e il futuro di una nazione. La domanda se la sono iniziata a porre da sabato sera almeno 7 milioni e mezzo di operai italiani. Tanti sono secondo l’ultima stima quelli impiegati nell’attività manifatturiera e che ancora oggi vanno ogni mattina al lavoro (il 57% del totale).
LA DIRETTA DI CONTE
Sabato sera, dicevamo. In una diretta su Facebook Giuseppe Conte annuncia la chiusura di tutte le attività produttive italiane, a eccezione di quelle funzionali a servizi essenziali, come l’assistenza sanitaria, la raccolta dei rifiuti, la fornitura di gas e così via. Ma è l’annuncio di un decreto, piuttosto che la comunicazione dello stesso. Il decreto definitivo, si saprà dopo, ancora non c’è. C’è solo «lo schema».
IL PRESSING DI CONFINDUSTRIA
Nell’incertezza e nella ritualità piuttosto inusuale per una comunicazione istituzionale di tale portata drammatica, intervengono le parti sociali. Confindustria ne approfitta per chiedere correzioni in corsa. La questione è parecchio complessa. Perché non puoi arrestare la produzione di medicinali, certo. Ma per farlo, non puoi manco arrestare la produzione nel campo della chimica, del packaging, della logistica, tutti settori da cui dipende l’arrivo di quel medicinale nelle nostre farmacia. Si chiama catena produttiva, e privarla di un anello significa spezzarla irrimediabilmente.
100 MILIARDI DI PERDITE AL MESE
Confindustria chiede di non interrompere la filiera nei settori strategici e di inserire più gradualità nella chiusura. Non è ingoridigia capitalista. È una riflessione drammatica, che promette «la sicurezza di tutti gli operai» e tiene conto di altri due fattori. Primo, 100 miliardi di euro di perdite al mese. Secondo, migliaia di posti di lavoro che si perderanno nei prossimi mesi. Solo in America la Fed ha previsto che la disoccupazione passerà dal 3 al 30%. Il risultato sembra ottenuto. Il decreto prevede la serrata di alcuni settori produttivi e non di tutti, come detto sabato. Restano aperte le imprese nel settore della chimica, della plastica, della carta e di tutta la meccanica.
GLI SCIOPERI DEGLI OPERAI
Così, i lavoratori decidono di fare da soli e si autoimpongono la chiusura. I metalmeccanici lombardi, i sindacati del chimico, tessile e plastica annunciano 8 ore di sciopero. I bancari lo minacciano. «Non lavoriamo in condizioni di sicurezza», si lamentano. E Conte, accusano, ha cambiato idea allargando tutte le attività considerate essenziali. Si fermano pure le fabbriche aerospaziali: «Il governo ha deciso che la produzione dell’aerospaziale è essenziale. Ma per andare sulla Luna possiamo aspettare qualche giorno, no?», ironizza il segretario nazionale Fiom, Michele De Palma. «Il nostro è un settore altamente strategico, e l’obiettivo è garantire la continuità produttiva assieme alla sicurezza e alla salute», replica l’azienda. E lo scambio dà l’idea di quello più generale che sta avvenendo tra le parti in tutta Italia.
LO SCIOPERO GENERALE
La minaccia più grossa è quella di uno sciopero generale, da convocare in tutta Italia, per dire che no, il Paese quasi fermo si deve fermare del tutto. «So che può sembrare paradossale», dice il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, «ma questa non è una protesta contro, ma per»: «Per la difesa della salute di tutti i cittadini italiani e anche degli imprenditori». Per quegli imprenditori e quei lavoratori che rimarranno, dopo questa crisi. Come se ne uscirà? Per Landini con una presenza maggiore dello stato nell’economia: «Penso a un’Agenzia nazionale per lo sviluppo che indirizzi gli investimenti strategici. Il mercato da solo non va da nessuna parte». Un po’ come l’Iri nel secondo Dopoguerra.
«LA NOSTRA CONFUSIONE»
Il Governo procede, mediando tra le sue due linee: quella più aperturista e accentrata nella figura del ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, e quella più prudente impersonata nel ministro del Lavoro Nunzia Catalfo. Il braccio di ferro con la Lombardia, poi, non aiuta di certo le imprese e i liberi professionisti, che non sanno più quali regole seguire: «Si sta creando una confusione inaccettabile. Noi siamo divisi tra il decreto nazionale e l’ordinanza regionale. Alcune imprese possono lavorare in base al primo, ma non in base al secondo, e viceversa», si lamenta con Vanity Fair.it Enrico Brambilla, segretario Confartigianato di Milano e Monza. «Prenda il settore della falegnameria: può lavorare per la regione, ma deve stare chiuso per il governo». Loro cosa consigliano? «Noi scegliamo di affidarci sempre all’indicazione più prudente e restrittiva». Di questi tempi, è convinto Brambilla, meglio eccedere in prudenza che in altro.
LEGGI ANCHE
#andràtuttobene, gli arcobaleni contro la paura del coronavirusLEGGI ANCHE
Coronavirus, perché ci pesa così tanto rimanere a casa?