Il metodo Marie Kondo per il decluttering è poco sostenibile?
Essere pigri e vivere soli con un grosso armadio ha i suoi pregi. Uno su questi è non doversi porre il problema del decluttering necessario: se una cosa penso abbia ancora del potenziale la tengo con me, anche se in quel momento preciso non “sparks joy” e Marie Kondo me la farebbe eliminare.
In questi giorni di quarantena però, anche io mi sto facendo tentare dalla tentazione di riordinare l’armadio, forse per fare un po’ di ordine anche nella testa e ripartire, quando sarà il momento, un po’ più leggera. Peccato che, mentre pensavo vagamente di rendere questo proposito realtà, mi sono imbattuta in The Conscious Closet di Elizabeth Cline, un libro che mette in discussione la filosofia “mariekondoiana” del decluttering facendo una critica rispetto all’impatto ambientale del metodo KonMari.
Potevo io esimermi dall’andare a fondo alla questione, essendo essa una possibile scusa di tutto rispetto per lasciar perdere la storia del riordino e stravaccarmi sul divano? Ovviamente no. Ed è così che ho scoperto che la Cline non ha certo tutti i torti.
Se è vero infatti che tantissimi tra coloro che fanno decluttering rivendono i capi più pregiati tramite siti o app come Depop e Vestiaire Collective e donano quelli più economici a chi ne ha bisogno, oppure li inseriscono nel circuito di riciclo grazie a iniziative come quelle di Calzedonia ed H&M che raccolgono gli usati e danno buoni per comprare nuovi oggetti, è anche vero che il metodo dello spark joy è molto basato sull’emozione del momento, e rischia di essere paradossalmente molto simile al modello del fast fashion, quindi per niente sostenibile.
Vi è mai capitato di dare via qualcosa e poi, qualche stagione dopo, mangiarvi le mani perché è tornato improvvisamente di moda? A me sì. E me lo sono pure andata a ricomprare. Non è detto che succeda sempre, ma è sicuramente vero che a volte la frenesia di disfarci del superfluo è dettata dallo stato d’animo del momento, e non va di pari passo con una regola di essenzialità. Ci liberiamo del vecchio per fare spazio al nuovo, non per vivere con meno. E questo, ecologicamente parlando, non è sostenibile.
Bisogna tenere tutto, allora? Certo che no. Però bisogna essere consapevoli nel momento del decluttering. Prima di tutto lasciando perdere la storia dello “sparks joy” e facendo un ragionamento serio su quanto quel capo o quell’accessorio ha senso per il nostro modo di vestire e per il nostro fisico. Dandogli una seconda, una terza, anche una quarta possibilità. Una buona idea può essere quella di fare un inventario di quello che possediamo a inizio stagione, e poi fare il declutter alla fine, dopo tre mesi che tentiamo di indossare quella maglietta o quei pantaloni. Non potremo dire di non averci provato.
E poi non facendolo da soli: avete presente quando Carrie fa spazio nella sua cabina armadio e invita Samantha, Miranda e Charlotte ad aiutarla? Ecco, a volte gli occhi degli altri vedono meglio dei nostri. E quello che a noi in quel momento sembra da buttare, per un’amica che ci conosce bene è un tesoro da tenere nel guardaroba.
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