New York “chiusa”, rimanere o tornare? «Il cuore si spezza in due»
C’è chi è negli Usa per lavoro, chi per un periodo di studio, chi per amore, chi per scelte di vita fatte tanto tempo fa. Tutti hanno un pezzo di famiglia ancora in Italia. Se il cuore degli italiani all’estero è sempre diviso in due, oggi con l’emergenza coronavirus ancora di più. Non è solo preoccupazione per le persone a cui si vuole bene, è anche nostalgia, senso di impotenza: essere lontani proprio nel momento in cui l’Italia ha bisogno di tutti.
A New York la comunità italiana è gigantesca, si parla di quasi 100mila persone. Storie diverse, da qualche settimana accumunate da uno strano sentimento, il dubbio – per chi può permetterselo – su cosa sia meglio fare, rimanere oppure tornare in patria. Dal 12 marzo scorso il presidente Trump ha bloccato i voli con l’Europa – prima escludendo il Regno Uniti, poi aggiungendoli – rendendo di fatto ancora più complicato il rientro.
Per i cittadini italiani Alitalia garantisce fino ad aprile due voli al giorno, ma già il 13 marzo nella comunità italiana era scattato un po’ di panico: e se poi non si riesce più a partire? Sono decisioni difficili, complicate da mille variabili: il possesso o meno di carta verde, il lavoro, l’assicurazione sanitaria privata, negli Usa fondamentale visto che non c’è un sistema sanitario nazionale gratuito.
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Speciale Coronavirus«Sono sposata con un americano dal 2017 – mi dice Lucrezia – Sono l’unica della mia famiglia in Usa, tutti i miei parenti sono in Italia. Purtroppo siccome la mia situazione legale non è ancora definita e sono senza permesso di viaggio, non posso lasciare gli Stati Uniti. Ogni mattina mi sveglio e scrivo a mia madre che mi aggiorna dicendomi che stanno tutti bene. Sono preoccupata ma anche un po’ alleviata dal fatto che la mia famiglia vive in un paese molto piccolo, anche se mio padre, guardia giurata, ha 63 anni e deve lavorare ancora».
Nonostante Lucrezia abbia sempre viaggiato nella sua vita, questa volta è diverso, questa preoccupazione è nuova. «Ho vissuto in sei paesi e in tre continenti. L’idea di essere in questa gabbia è snervante, soprattutto non essendo ancora cittadina americana e non avendo praticamente nessun diritto di replica con il governo Usa nel caso venissero bloccati definitivamente i voli in uscita. Non ho idea di quando sarò in grado di vedere i miei familiari».
Raffaella ha tutta la famiglia in Italia e il suo cuore “si spezza ogni minuto”, dice. «Ho sempre vissuto con la paura di ricevere una brutta notizia da quando mi sono trasferita qui, e queste settimane le sto vivendo malissimo. Vedere l’unione del mio popolo da semplici ma struggenti immagini alla tv italiana mi fa commuovere ogni giorno. Vorrei tanto poter essere nella mia bellissima Italia a combattere questa guerra con tutta la mia famiglia».
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Coronavirus, chiudere anche lo sport all'aperto: «Un sacrificio che va fatto»«Sono italiana, vivo da tre anni a New York, lavoro nel marketing. Tutta la mia famiglia è in Italia e in questi giorni mi interrogo su cosa fare – dice Caterina – Non sono mai stata una persona nostalgica, ho girato il mondo, ma questa situazione rimette in discussione tutti i nostri valori e credenze. Seguo i social dei miei amici in Italia e vorrei essere con loro, a cantare sui balconi e farci forza a vicenda. Siamo un popolo fantastico che sto riscoprendo da lontano. Sono così fiera del mio paese. Mi affaccio alla mia finestra nell’Upper East Side e continuo a vedere persone camminare tranquille per la strada, i muratori dell’edificio di fronte. Il parrucchiere aperto fino a ieri. E mi sento sola, incompresa».
«Vivo a New York da cinque anni, sono una pianista concertista e lavoro alla New York University – racconta Chantal – Dopo il discorso di Trump sono andata in crisi e ho dovuto decidere in pochissimo tempo se tornare. In meno di 24 ore ho comprato un biglietto aereo e sono tornata dalla mia famiglia». A differenza di altri, per Chantal però gli Usa sono la sua nuova casa. «Bisogna capire quando, ma tornerò». Al momento l’università è chiusa e Chantal fa lezioni private su Sky e FaceTime, il che le permette di avere ancora uno stipendio. «Alcuni enti sono stati molto gentili da offrire cachet comunque, ma molti non lo fanno, soprattutto in Italia e in Europa».
«Mio marito, il nostro bambino ed io qui – scrive Erika – tutto il resto delle nostre famiglie in Italia. Questo Paese ci ha dato molto ma è ovvio che in questo momento vorremmo essere in Italia. Purtroppo non si può. Quando tutto questo sarà finito andrò nella mia meravigliosa Sicilia che tanto sto apprezzando e stringerò forte al mio cuore mamma e papà per mezz’ora minimo. Non so quando sarà possibile ma lo farò».