«Quando mia madre è morta, ho ereditato la sua migliore amica»
«Mi sono ritrovata in un posto orribile e spaventoso, dopo la morte di mia madre. Poi è arrivata Les e la nebbia ha cominciato a dissiparsi». Emma Beddington aveva 29 anni ed era incinta del suo secondo figlio quando la sua mamma è scomparsa, vittima di un incidente. Al quotidiano inglese The Guardian ha raccontato la sua storia di amicizia con quella che era la migliore amica della madre, e che è diventata una presenza indispensabile anche per lei. «Abbiamo vissuto raramente nello stesso posto. Mentre io ero nello Yorkshire, lei era a Bristol, e si trasferì al nord solo quando andai al sud all’università. Ci scambiavamo un abbraccio e una chiacchiera, qualche volta. Mi piaceva, ma raramente le nostre strade si incrociavano.
Poi la mia adorabile mamma dal cuore enorme è morta. È stato un violento e strano incidente in un paese straniero, e la sua morte è stata uno strappo catastrofico nel tessuto della nostra famiglia. Avevo 29 anni ed ero incinta; avevo già un figlio di un anno confuso e comprensibilmente esigente. Mia sorella aveva appena 18 anni, il mio patrigno era abbastanza malato e passava le sue giornate a fare e ricevere infinite telefonate mentre la notizia si diffondeva nella rete di amici, familiari e colleghi di mia madre. I suoi numerosi fratelli si affollavano intorno a noi, riempiendo la casa in modo confortante ma stressante: sulle scale incrociavo piccole donne scure che le assomigliavano così tanto, ma non erano lei. Eravamo persi nella burocrazia della morte improvvisa: una fase in cui non c’era niente e tutto da fare. Non sentivo nemmeno il dolore (o il modo in cui avevo immaginato il dolore prima di sperimentarlo). Siamo rimasti bloccati in quel luogo orribile e spaventoso che non sapevo esistesse.
In quella nebbia stordente arrivò Les. Ricordo la sensazione fisica di sollievo che provai nel vederla; il suo abbraccio fu come ossigeno. “Andiamo a fare una passeggiata, Em, solo noi?”, disse. E lo facemmo, camminando lentamente, a braccetto, intorno alla fredda York. Les aveva appena avuto un brutto incidente automobilistico e stava soffrendo molto; era scioccata tanto quanto noi. Ma sapeva come approcciarsi con le situazioni orribili.
Non riesco a ricordare esattamente quello che ci siamo dette l’un l’altra quel primo giorno (penso che abbiamo parlato di come chiamare il nuovo bambino quando sarebbe arrivato, così come di quello che era appena successo a mia madre), ma sapevo che potevo dire assolutamente tutto senza sconvolgerla. Questo ha creato una sorta di spazio in cui potevo respirare, che mi ha permesso di andare avanti.
Nell’anno successivo, Les mi ha aiutato con le piccole cose: una tazza di tè o una telefonata schietta, sconclusionata, che arrivava direttamente alla sostanza delle cose. Dolore. Rabbia. A entrambe mancava terribilmente la mamma terribilmente, ma il nostro legame sembrava attenuare gli spigoli. La sentivamo presente da qualche parte, nell’etere, tra di noi.
Quando nacque il mio figlio più piccolo, quattro mesi dopo la morte della mamma, Les arrivò quasi immediatamente, la mattina seguente. È un ricordo quasi dolorosamente piacevole: lei e il suo meraviglioso marito, Rob, che tengono in braccio il mio piccolo, e che sorridono con un orgoglio quasi da nonni. Se qualcuno è in grado di capire come la gioia e il dolore possano coesistere e rafforzarsi a vicenda, quella persona è Les. Molte cose drammatiche sono successe nella sua vita, ma lei ha una capacità di godersi i piccoli piaceri – ballare in un festival, mangiare un bel panino o fare un viaggio fino a Whitby per il fish and chips – che mi delizia e mi ispira.
Poco dopo mi sono trasferita a Parigi, e pochi anni dopo a Bruxelles. A volte, abbiamo perso i contatti per mesi o anche per più tempo, ma a quel punto eravamo già amiche e mi fu subito chiaro che la nostra amicizia non richiedeva una grande manutenzione.
La nostra amicizia è senza sforzo. Siamo molto simili in molti aspetti: siamo entrambe uggiose e ansiose, specialmente riguardo ai nostri figli (due a testa), e ci facciamo ridere a vicenda con il nostro “catastrofismo” selvaggio: ogni conversazione con Les include almeno un lungo racconto su qualcuno che è stato colpito da una terribile malattia o tragedia. Ma non mi sento mai troppo negativa quando c’è Les, anche se di solito lo sono, e niente crea spazio nella mia testa come un’ora trascorsa con lei.
Condividiamo anche molti piaceri: libri, consumati voracemente e scambiati; un pigro pomeriggio ai bagni turchi; l’osservazione della gente. “Entrambe troviamo le persone costantemente affascinanti”, dice Les, ed è vero: una volta abbiamo passato un sacco di tempo, pieno e profondamente soddisfacente, speculando su una festa di nozze che si stava svolgendo in un locale alle nostre spalle.
La nostra amicizia è sopravvissuta per anni nutrendosi di e-mail, abbracci strappati nei caffè delle stazioni e, occasionalmente, un incontro come si deve.
Poi, in un incantevole momento di serendipità, siamo tornate a York l’anno scorso, a poche settimane l’una dall’altra. Io e Les andiamo al cinema e facciamo incursioni nei garden center; lei e Rob portano i loro due deliziosi nipoti a vedere le nostre tartarughe o mangiare la torta. O, ancora, possiamo anche solo incontrarci all’angolo di una strada e borbottare a vicenda per cinque minuti ristoratori, quando se ne presenta la necessità.
Les è la famiglia nella sua forma più essenziale, ma la nostra relazione non è affatto quella di una madre con la figlia. Parte della sua forza e gioia deriva proprio dal non farsi trasportare da tutta l’intensità e l’ambivalenza di quelle relazioni, dalle aspettative, dalle ferite e dalle cose non dette. Lei è, però, una sorta di nonna per i miei figli.
Non posso assolutamente dare a Les ciò che mia madre le ha dato: la loro era un’amicizia che si trova una volta sola nella vita. Vorrei che l’avesse ancora, proprio come vorrei avere ancora mia mamma. Ma quello che abbiamo ricevuto è un regalo inaspettato. Non riempie il buco, ma ci costruisce un ponte sopra, attraverso le affinità, i ricordi e l’amore. Abbiamo perso qualcosa di insostituibile, ma ci siamo guadagnate a vicenda. Ereditate, anzi».