Il caso di Noa, l’esperta di bioetica: «Attenzione a parlare di eutanasia»
«Quello che, verosimilmente, è successo è che lei ha deciso, per l’ennesima volta, di non nutrirsi più e che, in questo caso non l’hanno forzata, non le hanno messo il sondino naso-gastrico come era successo in passato. Le avevano anche indotto il coma farmacologico in passato. Nel caso specifico io userei il condizionale e sarei cauta». Chiara Lalli, docente di bioetica e autrice del libro Secondo le mie forze e il mio giudizio. Morire nel mondo contemporaneo, non usa il termine eutanasia per parlare del caso di Noa Pothoven, la 17enne che si è lasciata morire in Olanda.
L’eutanasia, di cui molti media hanno parlato in riferimento al suo caso, le era stata negata come ha ricordato anche Marco Cappato finito sotto processo per aver accompagnato Dj Fabo nel suo ultimo viaggio in Svizzera.
https://twitter.com/marcocappato/status/1136159417345466368La famiglia di Noa non si è opposta alla sua decisione di non nutrirsi più e di rifiutare cure e nutrizione forzata. È stata seguita negli ultimi giorni da medici che le hanno somministrato cure palliative per il dolore. Non sono intervenuti per porre fine alla vita della ragazza, quindi non sarebbe eutanasia, e nemmeno un caso di suicidio assistito. «La situazione», spiega Chiara Lalli, «è più vicina a quella della possibilità, che esiste anche in Italia, di rifiutare terapie e nutrizione. Sarebbe utile usare questa storia per riflettere, prima di attaccare» spiega Chiara Lalli.
Molti hanno contestato il fatto che la sua scelta di morire sia legata alla depressione (non si era più ripresa dopo uno stupro subito a 11 anni) e non a una malattia come il cancro. Per la professoressa Lalli la mancata comprensione della depressione è un limite da superare. «Si ragiona come se la depressione fosse un capriccio, facile da gestire, e non una malattia come le altre, che tocca il sistema nervoso centrale».
Altra questione è quella della giovane età. L’Olanda da 16 anni in su tiene in considerazione la posizione della persona direttamente. Per molti è troppo presto per una scelta del genere. «È vero che a 17 anni le nostre capacità cognitive sono ancora in crescita, ma è possibile considerare una diciassettenne una persona che non ha una volontà? L’alternativa è considerarla un essere pensante o ignorarla. Come nel caso di Welby: lui non diceva di voler morire, ma non poteva prescindere dalla sua realtà cioè continuare a vivere in quel modo o scegliere l’unica alternativa».
Vale nel caso di Noa, la cui realtà di vita era per lei terribile. Fosse stato un suicidio fatto in altro modo non se ne sarebbe nemmeno discusso e sui giornali olandesi, che hanno seguito da vicino la vicenda, il caso è spiegato trattato in modo molto diverso dal resto dei media del mondo. «Gestire la nostra libertà è cosa complicata», aggiunge la professoressa, «non basta avere leggi o comandamenti e seguirli. Io ogni volta mi domando: quale è l’alternativa? La questione del fine vita riguarda la persona e la sua salute, non è, a guardarla bene, che un’estensione delle premesse del consenso informato e del fatto che possiamo scegliere come vivere e dovremmo poter scegliere come e quando morire».