Un Selfie illumina l’Italia
La quintessenza di italianià della Campania: un film, un rapper e una cantante
Napoli non è solo Gomorra. Roberto Saviano è fratellammè e vado matta per Gomorra, ma un’opera come Selfie di Agostino Ferrente accende sia Napoli che il cinema di una luce nuova.
Da Napoli arriva sempre qualcosa di interessante, forse perché in Campania c’è una quintessenza di italianità, come pensano gli inglesi che infatti l’adorano. Sabato pomeriggio in una saletta del cinema Modernissimo, centro storico di Napoli, ho visto Selfie.
Pioveva, mentre a Milano il sole splendeva in gloria, e chi la sera prima al cinema Anteo aveva visto Selfie presentato dal regista si raccomandava di non farselo scappare perché hai visto mai che lo tolgano subito dalle sale?
Selfie è la storia dell’amicizia tra Alessandro e Pietro, in un quartiere – il Rione Traiano – dove cinque anni fa il loro coetaneo sedicenne Davide Bifolco è stato ucciso da un carabiniere mentre scappava anche se non aveva fatto niente.
Alessandro fatica come barista: ha lasciato la scuola dove la professoressa giustamente si arrabbiava perché lui non imparava L’infinito di Leopardi. Al Rione Traiano sono in parecchi a lasciare la scuola e a mantenersi – diciamo così – con lo spaccio e le rapine, ma Alessandro pensa che il crimine non faccia per lui. Lui vuole stare dalla parte giusta: quella dove non si muore o si finisce in carcere per forza, anche se qualche volta succede lo stesso per sbaglio. Così Alessandro porta i caffè: guadagna poco ma si trova meglio. Il suo amico Pietro invece vorrebbe fare il parrucchiere. Vorrebbe anche perdere peso e ci scherzano sopra un bel po’.
Agostino Ferrente cercava un linguaggio nuovo e l’ha trovato mettendo in mano ai due amici degli smartphone per filmarsi e raccontarsi come in un flusso di coscienza. Si esce dal cinema con una speranza, come quando vedi una luce dove non ti aspettavi di trovarla. Come quando Alessandro in quattro parole spiega perfettamente L’infinito di Leopardi.
Un’altra speranza viene da Speranza, rapper a Caserta. Non fatevi sviare dai video con birra e pistole né dai titoli Chiavt a mammt, Sparalo… C’è luce in Speranza, che non si chiama Speranza per caso e ha un’energia che illumina. Nato nella Belleville di Pennac ha capito che nella periferia di Parigi non aveva futuro ed è tornato nella città dei suoi: Caserta. «Persa per persa meglio perdere a casa», ha pensato. Invece a casa ha capito come esprimersi: i suoi testi e i suoi suoni estremi hanno una forza speciale.
Poi a Napoli c’è Flo. La prima volta che l’ho sentita in concerto mi sono chiesta come mai un’artista di quel peso non la conoscessero tutti. «Perché non sono alla moda», sghignazza – bravissima, allegra, intelligentissima – mentre canta nei più bei festival e teatri di Francia e Germania.
Abito a Milano da trentacinque anni, l’età di Flo, e Milano non è mai stata così europea, brillante, così bella: noi siamo fortunati e lo sappiamo, anche se ci manca il mare. Quello ce l’ha Napoli, insieme a molte altre cose cangianti e luminose. Che bel posto l’Italia.