Laura Chiatti: «Scusate, non so fingere»
Questo articolo è un estratto dal servizio di copertina di Vanity Fair in edicola dal 5 giugno
La risata di Laura Chiatti ha la potenza di un’onda d’urto che, quando arriva, sposta le cose e le persone intorno, scioglie le tensioni, esorcizza le paure. Sarà che il suo ridere viene dalla pancia e forse anche da qualcosa di più antico e profondo: avere sempre saputo che, nella vita, ci sono cose che contano e altre no. Trentasei anni, di cui due terzi sotto i riflettori (aveva 12 anni quando, basco rosso e capelli ricci, cantava Sognare Sognare di Gerardina Trovato al Karaoke di Fiorello: cantare era quello che avrebbe voluto fare da grande), ha costruito la sua carriera di attrice dosando molto le presenze e le assenze, tenendo fede a un patto che aveva stretto con se stessa: la famiglia prima di tutto.
Così quando sono arrivati i bambini ‒ Enea nel 2015 e Pablo l’anno dopo, il papà è l’attore Marco Bocci ‒ ha deciso che era intorno a loro che doveva girare tutto. «Io lo dicevo in tempi non sospetti, quando nemmeno conoscevo Marco: guardate che quando avrò dei figli farò un passo di lato. E tutti mi rispondevano: vedremo. È andata così. Ed è la scelta migliore che io abbia fatto nella mia vita». Ma siccome recitare è la sua (seconda) grande passione, sulla scena ci torna con regolarità, anche solo con la voce. Come è successo per Rapunzel e ora per Pets 2, il sequel del cartoon che racconta la vita segreta dei nostri animali domestici non appena chiudiamo la porta di casa e li lasciamo soli. «Doppiare i cartoni è divertente perché puoi strafare, ma difficile perché quando reciti lo fai anche con il corpo. Che qui non c’è».
Che sensazione dà non esserci fisicamente?
«Mi aiuta a concentrarmi sulla recitazione. Il corpo è sempre qualcosa di complicato. Più passano gli anni e più è complicato».
Non mi sembra che lei sia nella posizione di fare questa affermazione.
«Succede a tutti: guardi le vecchie foto e non ti riconosci. Se ti fa male puoi decidere di non aprire più l’album. Per noi attori è diverso: cambi canale e ti ritrovi in tv. Mi è successo l’altra sera: davano Ho voglia di te. È del 2007».
Ha nostalgia della se stessa di 12 anni fa?
«Non ho nostalgia dei miei 20 anni, ma di certe cose di allora: i genitori giovani e quella sensazione di spensieratezza totale. Tutti i miei problemi, allora, erano cose che ora mi fanno sorridere: questioni di cuore che mi procuravano crisi isteriche. Poi cresci e arriva la coscienza delle cose, che da una parte ti salva, dall’altra ti abbassa le difese immunitarie. L’anno scorso sia Marco sia mia madre sono stati molto male, adesso è tutto risolto, ma qualcosa si è comunque rotto: l’utopia per cui le cose brutte non accadono mai a te. Crescere, forse, vuol dire questo: non avere più nessuno che ti possa giurare che andrà tutto bene. Come faccio io coi miei bambini. Di fronte a loro, anche nei momenti più duri, ho sempre mantenuto il sorriso e tenuto a bada l’ansia che mi tiene compagnia ogni giorno».
Come la maneggia?
«Con la bioenergetica e la psicoterapia. Anni fa ho sofferto di attacchi di panico, ero guarita e adesso sono tornati. È sbagliato pensare di potercela fare sempre senza farsi aiutare, un errore in cui noi donne cadiamo spesso. Lavoriamo, ci occupiamo della casa, della famiglia: un sovraccarico di responsabilità che può schiantarti fisicamente. I bambini danno tanto e tolgono tanto».
Che cosa le hanno dato e tolto?
«Quando metti al mondo un figlio capisci per la prima volta che cos’è l’amore. Pensi: ah, ma allora è questo che aspettavo da sempre. Passiamo anni a cercare l’uomo o la donna della vita, non sapendo che solo un figlio ti porterà quell’amore che ti stacca la pelle. Ma il prezzo, ed è questo che tolgono, è che tu passi totalmente in secondo piano. Tu, i tuoi bisogni, il tuo lavoro».
Ha pagato dei prezzi a livello professionale?
«Dipende dai punti di vista. Prendiamo per esempio mio marito: lui ha sempre lavorato in maniera famelica, io invece ho fatto poche cose, per me di qualità. Quindi sì, ho rinunciato a molte offerte, per esempio alle serie tv, che sono produzioni troppo lunghe e ti costringono lontano da casa».
Dire dei no crea un pregiudizio nell’ambiente?
«Il pregiudizio, nel cinema, c’è a prescindere: se sei bella, se sei di provincia, se non sei comunista. I pregiudizi sono la mia specialità perché io sono l’antitesi dell’attrice italiana: non vanto nessun aspetto intellettuale, non guardo i film di nicchia (adoro Uomini e donne, per dire). Vivo da sempre nel pregiudizio, ma non mi ha mai toccata veramente. Anzi: mi ha sempre fatto molto ridere l’idea che se sei di un certo ambiente devi omologarti alle sue regole».