La Roma contro Drake: vade retro selfie
Vade retro Drake. Vade retro tu e i tuoi selfie. Siano maledetti quegli scatti e la scia di «mala suerte» che li accompagna. Siamo alle comiche, più o meno involontarie. La «Fatwa» della Roma – intesa come società di calcio – contro Aubrey Drake Graham, inteso come Drake, rapper, cantautore, attore e produttore discografico canadese reduce da un concerto fantasmagorico a Londra.
La Roma – con un tweet ufficiale nel suo account inglese – ha vietato ha vietato ai suoi giocatori di posare per il classico selfie con Drake. Un «Daspo» in piena regola per De Rossi, Dzeko, Florenzi, Olsen e compagnia. La ragione è semplice. Gli strateghi che curano la comunicazione della Roma sono andati a controllare se la maldicenza su Drake era reale. Urca, lo è: ogni qualvolta il buon vecchio Drake posta sul suo profilo una qualche foto con un calciatore, ecco che sull’interessato cala la nuvola di Fantozzi. E cominciano a piovere pietre.
E’ la maledizione di Drake. Che ha già colpito Aguero e il City (l’argentino ha sbagliato un rigore in Champions), ma anche Aubameyang (pochi giorni dopo il suo Arsenal ha perso una partita fondamentale in Premier League) e pure a Sancho del Borussia Dortmund. Prima dello sciagurato selfie, i gialli del Borussia erano primi in classifica, poi il disastro: tracollo per 0-5 con il Bayern e primato perso.
Vogliamo pensare che quelli della Roma siano i primi a riderci su, e così sarà di sicuro (anche se dubitiamo fortemente che – per esempio – Drake venga omaggiato di un biglietto in Tribuna all’Olimpico); ma va sottolineato come nel calcio – ancora una volta – la scaramanzia sia il 12° uomo. Ne abbiamo viste di tutti i colori. Presidenti come Anconetani (Pisa) che negli anni ’80 spargevano sale in campo, altri come Rozzi (Ascoli) che il giorno della partita indossavano solo calzini rossi.
Trapattoni andava in panchina con l’acqua santa (è regolare la confusione tra fede e scaramanzia), Lobanovski (ct dell’Unione Sovietica) vietava la maglia numero 13 e voleva nella sua squadra almeno un calciatore con i capelli rossi, altri ancora (Cellino, oggi a Brescia) costringe il pullman della squadra a fare sempre lo stesso giro e i giocatori a ripetere le stesse battute. L’allenatore Lucescu non voleva donne in società: diceva portassero solo sciagure. La scaramanzia riguarda tutti, non ne sono esenti i campioni.
Eusebio giocava con una moneta portafortuna nel calzino, Cristiano Ronaldo infila sempre per primo il calzino destro ed entra in campo per ultimo, Cruyff prima della partita sputava la gomma da masticare nella metàcampo avversaria. Pippo Inzaghi – ai tempi del Milan – come ha raccontato il compagno Gattuso «andava al bagno anche tre volte in dieci minuit». Qualche anno fa il presidente del Perugia Gaucci mise fuori organico Baronio perché – a suo dire – calamitava la cattiva sorte.
Ma la storia più bella è quella del Benfica e del suo allenatore negli anni ’60, l’ungherese Béla Guttmann. «D’ora in avanti il Benfica non vincerà più una coppa internazionale per almeno 100 anni». Parole pronunciate dal 1962 quando il Benfica era la squadra più forte del mondo (aveva appena vinto due Coppe dei Campioni consecutive) e dettate – raccontano – da un mancato aumento di stipendio. Controllate gli almanacchi: da allora il Benfica fuori dal Portogallo non ha più vinto nulla. Otto finali giocate in campo internazionale. Tutte perse. Aspettiamo il 2062 per capire se Béla Guttmann aveva ragione. E non si può nemmeno dire che la colpa fu di un selfie di Drake.