Pete Buttigieg, chi è il primo candidato alla Casa Bianca apertamente gay
Il nome di Pete Buttigieg era ignoto al mondo fino a qualche tempo fa, ma d’altronde chi conosceva Barack Obama prima della campagna che lo ha portato alla presidenza? Spera ovviamente in un percorso simile il 37enne sindaco di una cittadina dell’Indiana che ha ufficialmente annunciato la sua candidatura alla corsa alla nomination democratica per puntare alla Casa Bianca. Non è l’unico, il palco è già affollato, ma è il primo apertamente gay e non solo questo.
Prima di tutto è giovane, non tutti gli altri hanno questo vantaggio, se tale lo si può considerare di fronte a un Bernie Sanders, suo idolo e su cui ha scritto una tesina che gli è valsa uno stage all’ufficio di Ted Kennedy, che ha già fama e macchina elettorale. Secondo, mette insieme caratteristiche che potrebbero non relegarlo solo al voto Lgbtq. Oltre a essere dichiaratamente omosessuale sì, ha combattuto in Afghanistan e chi ha servito la patria (Trump a parte) all’elettore medio americano piace. Ha studiato ad Harvard e Oxford e parla sette lingue.
https://twitter.com/PeteButtigieg/status/1117537826344787968Dal punto di vista politico ha un padrino di peso, David Axelrod, il consulente politico che ha fatto di Barack Obama il primo presidente di colore degli Usa. Riuscirci con Mayor Pete, il sindaco Pete, perché è primo cittadino sua città natale, South Bend, poco più di centomila abitanti, vicina alla Notre Dame University, potrebbe essere più difficile ancora. Sia perché il cognome è difficile da pronunciare per gli stessi americani, sia perché politicamente è molto più indietro di quello che era Obama. I presupposti però ci sono. Nelle ultime settimane è salito nei sondaggi, quasi raddoppiato lo staff e raccolto 7 milioni di dollari.
Il suo punto di forza sembra essere l’età, l’appartenenza a una generazione nuova, più ancora che il resto di una storia che comunque piace. È figlio di un immigrato (chi non lo è negli Usa) maltese, ha combattuto per il suo paese e ha fatto coming out non troppi anni fa, durante la campagna per la rielezione a sindaco che lo ha visto vincere con l’80% dei consensi.
Quasi a ogni discorso ricorda di essere parte di quella generazione che è andata in guerra dopo l’11 settembre, che ha conosciuto le sparatorie nelle scuole (vent’anni fa quella della Columbine High School), che dovrà affrontare i cambiamenti climatici e conosce il precariato nel lavoro. Questa generazione è il 30% dell’elettorato, fondamentale nel 2020, e sempre di più appartiene a minoranze.
Si è sposato nel 2018 con un insegnante 29enne Chasten, che ha conosciuto su un’app di incontri e che ha preso il suo cognome, in maniera molto tradizionale. E forse tradizionale è un termine giusto per parlare dei modi di Pete Buttigieg più che delle sue idee perché a sentirlo parlare ha temi simili ai più radicali fra gli avversari, come l’annosa questione del sistema sanitario, ma sembra meno ideologico. Merito probabilmente anche degli studi: Storia e Letteratura ad Harvard, Filosofia, Politica ed Economia a Oxford. Oltre che della famiglia di letterati, madre linguista e padre traduttore, anche dall’italiano, una delle lingue che anche Pete conosce. Insieme ovviamente all’inglese e al maltese parla norvegese, italiano, francese, spagnolo e ha imparato il dialetto dari nel periodo in Afghanistan.
Troppo d’élite? Forse, ma è anche uno che è tornato a lavorare nel Midwest, quel pezzo centrale d’America votato ai repubblicani e al conservatorismo anche religioso. È riuscito da sindaco a dimezzare la disoccupazione in una città vittima della crisi dell’industria, una città come tante di quelle che hanno scelto Trump. Sui social ha già attirato più interesse degli avversari democratici e, unico per ora, è andato anche a parlare a Fox News, la tv che tifa per l’altra parte politica. Si vince non lasciando indietro nessuno.