Se tu puoi cambiare sesso perché io non posso cambiare età?
L’11 marzo l’olandese Emile Ratelband ha compiuto 70 anni. Dev’essere stato un giorno molto triste per lui.
Lo scorso dicembre i giudici avevano rigettato la sua richiesta di cambiare legalmente età, sforbiciandosi una ventina di anni.
In alcune interviste rilasciate nel corso della sua battaglia, oltre a spiegare per quale motivo ritenesse la sua età anagrafica disforme da quella da lui fisicamente e psicologicamente percepita, formulò la seguente una domanda: «Se è legale cambiare nome o sesso, per quale ragione non dovrebbe esserlo cambiare età?».
La domanda – chiaramente retorica dal punto di vista del signor Ratelband – è caduta nel vuoto fino a pochi giorni fa, quando Joona Räsänen, docente di filosofia all’Università di Oslo, ha pubblicato un saggio sul Journal of Medical Ethics intitolato Moral case for legal age change.
Räsänen si è schierato a favore del cambio legale di età nel caso si verifichino tre condizioni: 1) che una persona sia in forma fisica e mentale migliore di quanto generalmente si ritiene si possa essere a quell’età. 2) Che quella persona non si identifichi con l’età ufficialmente riportata sui documenti. 3) Che si trovi nella condizione di essere discriminata sulla base della propria età anagrafica.
«Perché l’età ufficialmente riconosciuta non dovrebbe equivalere alle reali condizioni di un individuo? Almeno nei casi in cui quell’individuo sia a rischio di discriminazione per via dell’età?», ha argomentato il docente.
Cambiare anno di nascita potrebbe non essere semplicemente una questione di vanità (del resto può valere anche all’inverso, una persona potrebbe identificarsi con un’età più matura) come si potrebbe essere tentati di pensare d’impulso.
E, curiosamente, sempre a proposito di compleanni, proprio nel 2019 compie 50 anni il concetto di «ageism», ovvero di discriminazione basata sull’età.
Il termine fu coniato da Robert Neil Butler, medico specializzato in gerontologia e direttore del National Institute on Aging che oggi ha sede a Baltimora.
Secondo la definizione di Butler la discriminazione nei confronti degli «anziani» o meglio basata sull’età degli individui avrebbe molte caratteristiche in comune con razzismo e sessismo.
Se, finora, di questa tipologia di discriminazione se ne è discusso meno, molto probabilmente la situazione cambierà a breve.
L’attivista americana Ashton Applewhite (all’anagrafe 66 anni) ha appena pubblicato un libro, This Chair Rocks: A Manifesto Against Ageism, versione aggiornata di un suo precedente saggio pubblicato nel nel 2016.
Secondo la Applewhite le nuove tecnologie e la discriminazione basata sull’età crescono di pari passo. Proprio per via dello stereotipo per cui la tecnologia non sarebbe roba da vecchi. Il che è vero se non altro in senso inverso, ovvero certe tecnologie non sono «age friendly», cioè non sono concepite per chi ha oltrepassato una certa età.
Banalmente, come ha fatto notare sempre la Applewhite «alcune applicazioni sono difficili da leggere per chi non ha una vista perfetta. Ovvero per persone in là con gli anni». Ma, ha aggiunto, «anche per giovani con difetti visivi».
Intanto, gli smanettoni della Silicon Valley stanno invecchiando e stanno per andare a sbattere la testa contro il soffitto di cristallo che loro stessi hanno costruito quando erano venti-trentenni. Non è un caso che parecchi di quelli che hanno fatto i miliardi con le tecnologie digitali, appena raggiunta la mezza età, abbiano cominciato a buttare soldi a palate in star-up che si occupano di ricerca nel campo del prolungamento delle aspettative di vita o dell’eterna giovinezza.
Un giorno non lontano ci ricorderemo di Ratelband e di quella sua battaglia che allora ci era sembrata «vana».