Che lavoro faremo dopo il reddito di cittadinanza
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 11 di «Vanity Fair», in edicola fino al 20 marzo.
Al via con prudenza: niente code agli sportelli delle poste e dei Caf nella prima settimana, 60 mila le richieste del primo giorno (il 5% di quelle ipotizzate dal governo). Entro un mese scatterà la «fase due» del reddito di cittadinanza, quella più complessa: l’Anpal, l’Agenzia per le politiche attive del lavoro, dovrà incrementare nei Centri per l’impiego dei comuni i cosiddetti navigator cui spetterà l’arduo compito di fare incontrare domanda e offerta concreta di lavoro sul territorio. Nel «patto» che firmeranno i beneficiari del reddito di cittadinanza c’è infatti la clausola di accettazione di almeno una delle tre proposte occupazionali. È quindi lecito chiedersi: che cosa potrà mai offrire il nostro mercato?
DIGITALE & TURISMO
«La geografia delle assunzioni varia da Nord a Sud, e ancor più tra centro e provincia», dice Rosario Cerra, presidente del Centro Economia Digitale. Dove si concentrano le imprese (Milano, Torino, Roma, Napoli) c’è fame di competenza digitale a ogni livello». Tradotto: operai e tecnici specializzati in automazione, addetti alle vendite, ingegneri, esperti in cybersecurity e analisi dei dati. E nel resto del Paese? Richiesti chef, camerieri, addetti alle mense, quasi sempre stagionali. LinkedIn Italia conferma: siamo un «mercato fluido e vitale, ma tradizionale». Il 50% delle assunzioni è nel manifatturiero, il 37% nel food.
IL MERCATO CHE VERRÀ
«Le aziende diventano sempre più esigenti: a chiunque sarà richiesta una crescente specializzazione. Se vuoi fare la receptionist, dovrai masticare due lingue. Il mulettista troverà lavoro, ma solo con patente ad hoc e corso sulla sicurezza in tasca. Ai controller amministrativi servirà la conoscenza dei programmi di gestione. Imparare a essere più flessibili e ad accettare contratti brevi, anche settimanali: il bagaglio di esperienze farà la differenza nel cv», spiega Pamela Bonavita, senior executive director PageGroup. «L’automazione eliminerà il lavoro ripetitivo, ma creerà nuove professioni: non è la vigilia di una rivoluzione, solo uno smottamento», dice Cerra. L’ultima ricerca internazionale di ManpowerGroup gli dà ragione: proprio grazie ai processi di automazione adottati, l’87% delle imprese nel prossimo triennio aumenterà o manterrà la sua forza lavoro. Buone notizie, insomma.
UNA MISURA TEMPORANEA?
Se il reddito di cittadinanza serve a «dare speranza agli invisibili» (così il vicepremier Di Maio), per altri è Il futuro senza lavoro, come da titolo del saggio (edito dal Saggiatore) di Martin Ford, imprenditore in Silicon Valley: in una società retta da macchine sempre più intelligenti, si potrà davvero decidere anche di non lavorare, accontentandosi di una rendita statale minima, ma garantita? La prospettiva piace poco a Riccardo Pozzoli, imprenditore digitale (il suo Smetto quando voglio (ma anche no) esce per DeAgostini il 9 aprile): «La generazione Z non aspira al posto fisso, ma a realizzarsi. Il mercato oggi è fluido e mobile: alcune misure a favore delle partite Iva stanno funzionando e io sono ottimista. Il reddito di cittadinanza? Non lo trovo così rivoluzionario: un sussidio di disoccupazione in fondo c’era già in Italia e va bilanciato con il sostegno all’impresa. Non mi piace il nome, sa di arrendevolezza: vorrei fosse percepito come misura temporanea, un give back dello Stato ai suoi cittadini in difficoltà, per renderli prima possibile soggetti di nuovo attivi sul mercato».