Legge sul caporalato: la Regione Lazio dà dignità e diritti al lavoro agricolo
La lotta al caporalato, allo sfruttamento del lavoro irregolare in agricoltura, va infatti a vantaggio della legalità di tutti, anche delle aziende sane
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Con il voto a maggioranza dell’aula della Pisana (26 favorevoli e 4 astenuti) è stata approvata, all’alba di oggi, la legge per il contrasto e l’emersione del lavoro non regolare in agricoltura, meglio nota come legge sul caporalato. Licenziata con voto unanime dalla IX Commissione consiliare lavoro (che ho l’onore di presiedere), la legge introduce una serie di misure fondamentali per contrastare questa piaga che ancora affligge chi lavora nei campi.
Anche se sembra assurdo pensarlo, nel 2019 ci sono ancora situazioni di caporalato gravissime, prossime alla schiavitù, che solo nel Lazio colpiscono circa 12 mila donne e uomini che lavorano nei campi, senza regole e senza diritti. Un fenomeno diffuso che colpisce, in particolare, le categorie più deboli, come disoccupati e stranieri nonché le braccianti, sottoposte ad ogni forma di ricatto, anche sessuale, pur di essere richiamate a lavorare.
Dopo il boom economico degli anni 60, si poteva pensare che, con la fine dell’Italia contadina dei latifondisti, fossero finiti anche i caporali. Invece no, sono ancora molti, nascosti e terribili. Anche le campagne del Lazio, sono piene di questa violenza sociale, di questo fenomeno vergognoso. E’ per questo che, l’Amministrazione regionale del Lazio ha deciso di agire con una legge che, finalmente, vuole stroncare una vergogna vecchia di secoli che nulla a che vedere con i diritti, con la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori.
Un problema che non riguarda solo gli stranieri, bensì anche tante cittadine e cittadini italiani. Penso a Paola Clemente e Giuseppina Spagnoletti, morte praticamente in schiavitù, lavorando per 2 euro l’ora, anche di notte. Morte di fatica nei campi, dove crescono i prodotti che mangiamo a tavola. Ma penso anche agli oltre 1.500 braccianti agricoli extracomunitari morti negli ultimi 6 anni in Italia, a causa del loro lavoro; penso alle 400.000 persone impiegate nella raccolta agroalimentare; ai 100.000 braccianti costretti a vivere in baraccopoli fatiscenti; al 50% dei lavoratori che accusano gravi problemi di salute. Tutto questo è becero e disumano perché, come hanno capito addirittura i caporali, i disperati sono tutti uguali, hanno tutti indifferentemente necessità di sopravvivere.
La legge approvata dalla Regione Lazio è frutto di un intenso lavoro svolto nella IX Commissione che, oltre ad unificare le due proposte iniziali (una della Giunta, l’altra a firma dei consiglieri Bonafoni e Capriccioli), ha condotto molte audizioni, ascoltando non solo i sindacati ma anche gli organismi di rappresentanza dei datori di lavoro e delle aziende agricole, oltre ai soggetti del Terzo Settore che combattono tutti i giorni sul territorio.
È importante che anche le imprese abbiano deciso di reagire. La lotta al caporalato, allo sfruttamento del lavoro irregolare in agricoltura, va infatti a vantaggio della legalità di tutti, anche delle aziende sane, che non devono subire la concorrenza sleale di chi usa manodopera in nero. La legge nazionale, che ha segnato un passo avanti per il superamento del caporalato, ha rappresentato un traguardo storico del PD – questo lo rivendico con orgoglio – a favore di chi, per troppo tempo, ha visto i propri diritti, pure quelli umani, calpestati da gente senza scrupoli. Gli arresti di questi anni dimostrano che la legge funziona molto bene, sul versante penale. Ora bisogna insistere nella battaglia di prevenzione, di responsabilizzazione, di sensibilizzazione. Ed è l’obiettivo che si pone la legge approvata alla Pisana, nella parte in cui la Regione si fa carico di mettere in atto campagne di informazione e azioni di sensibilizzazione sulle problematiche relative all’economia sommersa e sulla normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro nel settore dell’agricoltura. Fondamentale, in tal senso, è la collaborazione tra le Istituzioni, le parti sociali e la Rete del lavoro agricolo di qualità al fine di contrastare lo sfruttamento dei lavoratori, favorire l’emersione del lavoro irregolare nonché promuovere e valorizzare la legalità, nel settore agricolo.
Un pensiero particolare va, infine, alle donne braccianti. Quando pensiamo al lavoro agricolo, siamo portati a pensare alla fatica e al sudore prevalentemente maschile. In realtà, però, alle braccianti è richiesto un lavoro speciale, soprattutto nell’immagazzinare ortaggi, per via della maggiore delicatezza del lavoro da svolgere. La raccolta degli ortaggi può avvenire in serra, sotto grandi tendoni, al caldo asfissiante che raggiunge anche i 50 gradi, dove all’umidità si aggiungono i fumi dei prodotti utilizzati. Come loro stesse hanno raccontato, sono pagate 4 euro l’ora, per un massimo di 18,25 euro al giorno. Con contratti grigi, in cui figurano 15 giorni di lavoro ma se ne fanno 30, festivi compresi, con pause di 10 minuti, quando vengono concesse.
In questo contesto, alle braccianti può capitare di essere ricattate, anche sessualmente, per mantenere il posto, per essere richiamate a lavorare l’indomani, come ci conferma il caso scoperto qualche mesa fa a Terracina. Il racconto degli stupri e dei maltrattamenti da parte dei caporali e dei capisquadra è sempre frequente e, spesso, le più giovani vengono selezionate nude, in una specie di sfilata sotto i teloni, da imprese spesso beneficiarie di lauti finanziamenti pubblici. La manodopera femminile è un doppio serbatoio di gratificazione per i caporali: pecuniaria e sessuale. Tutto questo non è più accettabile perché il lavoro non è solo un mezzo di sostentamento, bensì strumento di sviluppo della personalità umana e deve quindi contribuire alla crescita della società, al progresso della propria comunità, all’inclusione di sé e degli altri nel mondo circostante.
Sul tema del lavoro, la maggioranza di Nicola Zingaretti sta portando avanti una battaglia di civiltà che ha visto dapprima l’approvazione della legge sulla Gig Economy, poi quella sul riconoscimento dell’Equo compenso e, oggi, quella contro il caporalato in agricoltura. Perché, come ci insegna la Costituzione, il lavoro è persona e al centro del lavoro c’è l’essere umano, a cui le istituzioni e la politica devono garantire una vita degna.
Eleonora Mattia
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