Gianmarco Tamberi, l’amicizia (da film) con Mutaz Barshim: «Due ori sono meglio che uno»
Luglio 2017, Meeting di Parigi. In una camera d’albergo, a gare ormai concluse, Gianmarco Tamberi si asciuga le lacrime e alza lentamente la testa. Davanti a lui, il collega e amico Mutaz Barshim lo guarda fisso e gli allunga un altro fazzoletto. «Gimbo ascoltami, è passato solo un anno dal tuo infortunio», sussurra il qatariota. «Prenditi il tempo necessario per recuperare: abbi pazienza, non forzare, vedrai che tornerai al top».
Tamberi non sembra crederci più di tanto: dodici mesi di sacrifici, per non riuscire a saltare neppure 2.20. Pensare che a Montecarlo, quella maledetta notte del 2016, superò 2.39, attuale record italiano, e poi si frantumò la caviglia sinistra cercando di alzare ulteriormente l’asticella. Addio alle Olimpiadi di Rio, ovviamente, così sulla doccia gessata – che ancora conserva tra i cimeli sacri – scrisse «Road to Tokyo».
Tre parole che in quella notte francese sembravano prive di significato, prima dei saggi consigli di Barshim. Che, ironia della sorte, pochi mesi più tardi incappa in quello stesso guaio fisico: i ruoli si invertono e Gimbo, che aveva ricominciato a macinare risultati interessanti (quarto agli Europei di Berlino 2018), lo rincuora e lo sprona, dandogli appuntamento ai Giochi in Giappone, spostati poi di un anno causa pandemia.
Incredibile ma vero, l’azzurro e il qatariota si sono ritrovati uno contro l’altro proprio nella capitale nipponica, sulla pedana dello Stadio Nazionale. Si scrutano, si analizzano, lasciano che a parlare siano i risultati: saltano tutte le misurazioni al primo tentativo, osservano gli avversarsi sgretolarsi lungo la strada verso il 2.39, che nessuno dei due riesce a superare. Uno, due, tre errori: insomma, è perfetta parità.
«Adesso che succede», si chiede il pubblico. La situazione, in effetti, non ha precedenti nella storia olimpica: il giudice chiama a sé entrambi gli atleti e gli spiega che possono accettare un primo posto ad ex aequo, oppure proseguire con gli spareggi. I due «amici-avversari» si guardano negli occhi, come fosse un film western: ma invece della pistola, dalla «fondina» tirano fuori un sorriso che scioglie tutta la tensione.
Si abbracciano, iniziano a saltare insieme. «Due ori sono meglio che uno», dice Mutaz, rievocando l’indimenticabile claim pubblicitario, «two is megl’ che one». D’altronde, come hanno ricordato loro stessi, «nel salto in alto l’unica avversaria è l’asticella». Gimbo se la ride, mostra il gesso «amuleto» e puntualizza: «Lui ha attraversato il mio stesso grave infortunio, non avrei condiviso questa medaglia con nessun altro».
In una giornata epica per lo sport italiano, l’oro dell’amicizia.