Nadia Toffa, che ci ha insegnato a non avere paura (nemmeno delle nostre fragilità)
C’è una frase che Nadia Toffa, morta il 13 agosto 2019 dopo una battaglia di due anni contro un tumore, ripeteva a tutti come se fosse un amuleto da toccare: «Io non ho paura». L’aveva ripetuta anche nell’ultima intervista a Vanity Fair (febbraio 2018): «Lo sanno tutti che sono matta, una matta senza paura. Anche da piccola ero spericolata». Spiegando: «Io provo tanti sentimenti negativi: disgusto, imbarazzo. Ma la paura mai. Cos’è la paura, in fondo? Paura di sbagliare e paura di perdere. Io non ho mai paura di sbagliare. E sul perdere, la vita dà e toglie, non ho paura di allontanarmi dalle cose, sono sempre pronta».
La bionda bresciana con gli occhi vispi e il sorriso largo se n’è andata un anno fa, era un martedì mattina, prima che il sole si levasse in cielo. Aveva solo 40 anni. Ma ha avuto il tempo, e il coraggio, di insegnarci tanto. Il suo mantra, «io non ho paura», è una delle grandi lezione che ci ha lasciato. Un mantra che dovremmo tutti fare nostro, specie in tempi il cui il coronavirus scardina le nostre abitudine e le nostre certezze, facendoci sentire piccoli e vulnerabili. Lei, lo «scricciolo delle Iene», ci ha insegnato che non c’è momento per arrendersi, che si combatte e lo si fa sempre, con il sorriso. Ci ha insegnato a «guardare in faccia il mostro», a tenere la testa alta, con la consapevolezza che, nella vita, l’unica battaglia persa è quella che non si è combattuta.
Tutto era iniziato nel dicembre 2017, quando la Toffa si era sentita male in un hotel di Trieste dove si trovava per lavoro. Un ricovero d’urgenza e poi, si sarebbe saputo a febbraio, la scoperta di un tumore. Quando ha avuto la sua diagnosi, Nadia non s’è nascosta. S’è mostrata al mondo così com’era: una donna malata, cui la vita ha caricato sulle spalle un macigno orrendo. Un macigno che, in televisione, su Internet, in qualunque luogo le fosse consentito, ha chiamato per nome, senza timore di urtare la sensibilità di quanti al cancro si riferiscono con blandi vezzeggiativi. Nadia si è mostrata al mondo con la propria parrucca, il viso gonfio per le cure.
Su Instagram, con i suoi follower (più di un milione), la conduttrice e inviata de Le Iene ha condiviso passo dopo passo, sempre col sorriso, il proprio percorso ospedaliero. «Dopo chemio e radio i capelli ricrescono, non si rimane pelati a vita», scriveva nel settembre 2018. «Non sono guarita, sono qui viva e continuo le terapie. Nel frattempo i capelli ricrescono e io sono sempre più figa». Nadia aveva capito che quando si affronta una malattia ci si scopre «a tratti fragili, a tratti più forti». Ma aveva anche capito che delle proprie fragilità non bisogna avere paura: «Riconosciamo le nostre debolezze, che in condizioni di stabilità non ammettiamo. È bello osservare i propri limiti, è bello vivere».
L’atteggiamento sempre positivo della conduttrice, le sue affermazioni, i suoi messaggi col sorriso, spesso anche fraintesi, l’avevano portata, da una parte, a diventare un esempio da seguire per molti; dall’altra, ad essere criticata ferocemente. Come quando definì «il cancro un dono». Una definizione provocatoria, che a molti non piacque. Ma per lei era un modo per rivendicare la forza d’animo con cui reagire, da «guerrieri». Uno dei suoi post, pubblicato via social nel settembre 2018, aveva cercato di fare chiarezza: «Gli webeti proprio perché ebeti continuano a ridere della parola dono. Non ho mai sostenuto di essere fortunata ad avere il cancro. Sono pazza secondo voi?!» aveva esordito parlando a lungo dei bambini ricoverati in oncologia pediatrica. «I bambini lì sorridono e ridono non perché felici né perché si sentono fortunati di avere il cancro ma perché hanno spirito di sopravvivenza e sanno che la vita continua nonostante la malattia. E così i loro genitori, che sono con loro a sostenerli ogni giorno».
La lezione di Nadia Toffa, la più grande, è nella resilienza, nella capacità di assorbire l’urto, senza rompersi. Che anche l’urto, in fondo, è parte della vita. Che la vita scorre accanto al Male, che si chiami cancro o coronavirus, guerra o tsunami. Deve corrergli accanto, qualche volta girandosi a guardarlo dritto negli occhi. Senza paura. Un sorriso alla volta. Perché solo chi vive così non perde mai.
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