Luca Grillenzoni, medico d’urgenza a Biella: «I veri eroi sono i pazienti»
Sono le 22 quando su Skype mi arriva il segnale che Luca Grillenzoni, responsabile del reparto di Medicina d’urgenza all’ospedale di Biella, è connesso. Da qualche giorno cerchiamo di sentirci, ma con l’emergenza Coronavirus i suoi turni sono diventati molto più lunghi del solito. E così, i suoi unici momenti liberi sono la notte, quando rientra a casa. «C’è un prima e un dopo, – mi racconta sorridendo, – da quando abbiamo trovato il primo caso di covid-19 nel nostro ospedale, la vita privata si è interrotta. C’è solo il lavoro».
Secondo i dati dell’Unità di crisi, aggiornati al 2 aprile, nel Biellese i decessi legati al Coronavirus sono stati 80, mentre i positivi sarebbero 531. «All’inizio anche io ho sottovalutato l’epidemia. Avrei potuto alzare la cornetta e chiamare qualche mio collega di Bergamo o Lodi. Invece mi sono fidato delle notizie che arrivavano. Non si era capita la reale portata del problema. Quando il 4 marzo abbiamo avuto il primo caso, ho guardato la tac e mi si è gelato il sangue».
Da quel momento tutto è cambiato: sono entrati in gioco nuovi protocolli di emergenza e il nosocomio è stato riorganizzato per accogliere centinaia di pazienti covid-19 con necessità di essere ospedalizzati. La vita di medici, infermieri, operatori sanitari e tecnici è cambiata, portandoli improvvisamente sul fronte di una guerra invisibile: «Si usa spesso questa metafora, – commenta Grillenzoni, – ma è così che ci siamo sentiti nella prima settimana. Come se fossimo in un conflitto, in cui però non c’erano bombe».
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Coronavirus, è guarita l'infermiera della foto simbolo di CremonaL’impatto emotivo segnerà enormemente i professionisti, come i malati e le famiglie delle vittime: «Da una parte ci siamo sentiti impotenti, di fronte a tutti questi decessi. Dall’altra ci siamo scoperti fragili e soli». Come soli sono anche i pazienti, che affrontano terapie invasive e dolorose, senza avere nessuno al loro fianco: «Sono loro i veri eroi». Pazienti che per Grillenzoni, non sono più solo quello, diventano parte di una famiglia che mette insieme operatori e persone.
«La prima gioia ce l’ha regalata Gian Vincenzo», mi racconta. «All’inizio era sempre la stessa storia: tutti i pazienti avevano tac orribili, sempre più bisogno di ossigeno, ora dopo ora. Finivano in rianimazione o morivano. Ci sembrava di non avere alcun impatto sulla malattia». Fino a che non è arrivato il risultato dell’emogas di questo paziente sessantenne: «L’infermiera ha urlato quando ha visto i parametri. Finalmente qualcosa stava cambiando». Qualche giorno dopo, ormai guarito, Gian Vincenzo ha lasciato l’ospedale. Lo hanno salutato in tanti, ringraziandolo di aver dato loro speranza, in questo momento così difficile.
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Coronavirus, ecco com'è fatto il nostro nemicoC’è un grido di battaglia, che viene usato dal Biella Rugby, la squadra cittadina: So Fe Gas. Un urlo liberatorio che serve a incitare i propri compagni durante la partita. Grillenzoni, giocatore anche lui, ha deciso di trasportare questo grido nelle corsie dell’ospedale. Per ricordare alle persone con cui lavora, ma anche alla città che si è stretta con grande solidarietà intorno a loro, che «Solo insieme riusciremo a vincere questa battaglia».
IN ALTO la video-intervista a Luca Grillenzoni.