Marta, l’infermiera che dona la biancheria intima alle vittime di violenza
L’infermiera Marta Phillips, del Medical Center di Bellingham, nello stato di Washington, ha assistito tante donne finite al pronto soccorso dopo avere subito violenza. La loro dignità era già stata messa a dura prova e la loro fiducia irrimediabilmente compromessa dagli abusi. Non solo: spesso le vittime erano costrette a tornare a casa prive della biancheria intima, che era stata sequestrata dagli inquirenti per i giusti scopi investigativi.
Ecco perché Marta ha deciso di spendere 150 dollari per acquistare reggiseni e slip per le sue pazienti: «Non sono più disposta a lasciare che qualcuna delle sopravvissute torni a casa senza reggiseno o senza un paio di mutande decenti», ha scritto su Facebook, dove ha pubblicato una foto dei suoi acquisti, chiedendo a tutti di contribuire alla raccolta di biancheria intima. Il suo post è stato condiviso centinaia di migliaia di volte.
«Questa è la biancheria intima che nessuna donna vuole indossare. E non è solo perché si tratta di un semplice reggiseno sportivo in cotone del colore del Pepto-Bismol (un farmaco usato per curare la gastrite). È perché questa è la biancheria intima che diamo alle sopravvissute allo stupro e alle aggressioni sessuali, dopo che la loro biancheria intima è stata sottratta per essere utilizzata come prova nei processi.
Noi prendiamo la loro bella biancheria intima, la loro biancheria intima preferita, carina, comoda, il reggiseno più aderente, quello firmato, da 75 dollari, il reggiseno per il weekend, il reggiseno da lavoro. E li portiamo via indossando un paio di guanti, li mettiamo in un sacchetto di carta che sigilliamo con il nastro adesivo e su cui scriviamo il numero del caso. Inviamo il pacchetto al laboratorio della polizia e le donne non lo vedono mai più.
Per questo diamo loro questa biancheria da indossare a casa, in un mondo che non riconoscono più e di cui non si fidano più. Ma questo banale reggiseno sportivo è molto, molto, molto migliore di quello che indossano alcune delle vittime quando vengono dimesse. Ad alcune donne vengono sottratti tutti i vestiti. Camicia. Canotta. Pantaloni. Reggiseno. Biancheria intima. Anche i calzini. E se nessuno si prende cura di loro – non ha, non compra o non può comprare vestiti per loro -, le donne vengono dimesse con un camice ospedaliero e biancheria intima post partum da ospedale, bianca, a rete. E senza reggiseno.
Avete mai visto una donna che è appena stata violentata, ha appena subito un interrogatorio di tre ore, uscire da un ospedale indossando un camice da ospedale di grandi dimensioni, con le braccia strette attorno al petto, vergognandosi, perché non ha un reggiseno? Io sì. E non voglio vederla mai più».
E quindi, «se state cercando di donare qualcosa di significativo, contattate l’ospedale o un centro che accoglie le vittime di violenza domestica. Andate in un negozio e comprate la biancheria e gli indumenti con cui vi sentireste a vostro rannicchiate, al sicuro della vostra casa, mentre guardate la TV. E donatela. Nuove mutande, un comodo reggiseno, un paio di pantaloni, una morbida felpa con cappuccio, calzini: tutte queste cose possono aiutare a far sentire una donna, sopravvissuta a uno stupro violento, una persona. Non una vittima».