«MasterChef 9»: perché Jeremy Chan ci ha fatto sognare
I capelli a spazzola, gli occhi a mandorla e una manualità fuori dal comune, un’eleganza sopraffina che riesce a trasmettere in piatti nei quali la contaminazione è la parola d’ordine. Lui è Jeremy Chan, lo chef stellato che, nel decimo episodio della nona edizione di MasterChef, strega il pubblico e i concorrenti con la sua aria sbarazzina e il suo sorriso rassicurante, pronto a suggerire agli aspiranti chef i trucchi per replicare, in maniera più fedele possibile, le sue creazioni. A Marisa consiglia di cuocere l’astice intero; a Francesca spiega che otto minuti in acqua bollente sono troppi e a Nicolò consiglia di allungare la salsa al guanciale per renderla più liquida. Una dritta che per Nicolò si rivelerà vincente, perché il migliore dell’Invention Test sarà proprio lui.
https://www.youtube.com/watch?v=aGuCnQ0yTcAL’attenzione, però, è tutta rivolta a lui: a Jeremy Chan, nato in Inghilterra nel 1987 da padre cinese e madre canadese, perfetto esempio della sinergia tra due culture e due tradizioni diverse. Dopo aver vissuto in diverse parti del mondo, si stabilisce a Londra dove, nel 2017, apre con il suo socio Iré Hassan-Odukale il ristornate Ikoyi, che si trova nel West End e ha ricevuto una stella Michelin dopo un solo anno di apertura: la prima assegnata a un ristorante con una forte impronta africana. Nel locale, che viene impropriamente associato alla definizione di «West African», la cucina rappresenta una ricerca continua, una scelta di ingredienti sempre più variegati per permettere al palato di famigliarizzare con nuovi sapori e nuovi colori. Lo stesso Jeremy Chan preferisce non dare definizioni precise a quello che fa, che è qualcosa che ha a che fare esclusivamente con la sua creatività personale e una libera interpretazione di consistenze e profumi, di piatti che non hanno paura di osare.
A discapito di quanto si possa pensare, lo chef Jeremy Chan inizia a cucinare solo da adulto e quasi da autodidatta. Dopo la laurea con lode a Princeton in Lingue e filosofia e il trasferimento in Spagna, dove si reinventa analista finanziario, capisce improvvisamente che la sua vera passione è la cucina ed è in quel momento che inizia a sperimentare fino a quando decide di licenziarsi e seguire la sua passione. Tornato in Gran Bretagna, inizia a frequentare le cucine dei ristoranti con lo scopo di soddisfare la sua fame di conoscenza, portando avanti una gavetta che dura quattro anni e che gli permette di assorbire come una spugna qualsiasi cosa veda. Lavora con chef come Rene Redzepi e Ashley Palmer Watts, ma il suo obiettivo di aprire un locale suo diventa realtà solo grazie all’amico d’infanzia Iré Hassan-Odukale, stanco di lavorare nel settore delle assicurazioni ma con qualche esperienza nel management della ristorazione: da qui l’apertura di Ikoyi, del quale uno ne diventa lo chef e l’altro in direttore. E qualora ciò non bastasse aggiungiamo che Jeremy Chan parla anche sette lingue, incluso l’italiano, che ha imparato leggendo Dante. Insomma, più di non si potrebbe chiedere.
LEGGI ANCHE
Parte MasterChef 9, e la cucina diventa green