Fabio, Sara, Valentina e gli altri: «Ecco perché siamo diventati sardine»
«Non sono mai andato a una manifestazione, non sono mai stato legato a un partito e non sono il classico bolognese di sinistra. Sono andato a quella delle sardine perché penso che questo sia un periodo particolarmente buio per il paese e la manifestazione mi sembrava pacifica, civile e apartitica». Fabio ha 43 anni, è tornato da uno in Italia dove ha aperto una start up dopo aver passati 15 all’estero lavorando nel marketing per grandi aziende. Fabio era alla manifestazione bolognese che è stata la prima uscita delle sardine, il movimento le cui manifestazioni si stanno moltiplicando in Italia.
Una delle parole chiave, per lui come per altri è il fatto che non ci fosse un partito politico a organizzare l’evento. «Non è questione di destra o di sinistra, è questione di valori. La manifestazione è stata la contrapposizione a un modo di comunicare odio in modo urlato e incivile. È stata civile, pacata, silenziosa. È il manifestare contro l’odio» aggiunge Fabio. In piazza ha trovato molti amici, professionisti, imprenditori, famiglie, che come lui non erano avvezzi alle manifestazioni di partito.
È molto simile la motivazione di Sara, anche lei 40enne e anche lei alla manifestazione di Bologna insieme al figlio 13enne. «La motivazione è stata la stanchezza e la paura per la situazione che c’è in Italia oggi, per l’odio, la grettezza, la “piccineria”, gli egoismi piccini che dilagano e vanno oltre la tolleranza. Mi sembra che la “narrazione ” che prevale è quella di un’Italia di cui mi vergogno». Voleva in qualche modo metterci la faccia e il corpo, per dire che non ci si riconosce, e per «fare testuggine» con gli altri che la pensano come lei. «Proprio l’dea delle sardine, di stare stretti stretti a contrastare l’avanzata di questo egoismo miope e pericoloso, mi è piaciuta molto».
Anche per lei il fatto che fosse apolitica è stato un valore aggiunto, almeno nella fase iniziale. Così lo spiega Fabio: «All’inizio è stata la sua forza in un periodo sembra esserci una rassegnazione a un certo modo di fare politica e ha risvegliato persone che non si sentono legate a un partito o all’altro. È vero che alla fine si vota da una parte o dall’altra, ma serviva prima di tutto un risveglio degli animi».
La contrapposizione politica, in Emilia-Romagna, dove si vota il 26 gennaio, è fondamentalmente fra il candidato Pd Bonaccini e la leghista Borgonzoni, sostenuta da Matteo Salvini, che la sera della prima manifestazione era al Paladozza di Bologna ad aprire la campagna elettorale. A pochissima distanza c’era Piazza Maggiore con le sardine a dire che Bologna non si lega.
Valentina di anni ne ha 37 ed è andata in piazza a Modena. «Credo che ci sia una parte dell’opinione pubblica che è stanca della politica di pancia, urlata, fatta da slogan che cavalcano il malessere solo per ottenere voti, una politica che ha sdoganato e legittimato i rigurgiti più biechi di razzismo, misoginia e omofobia, di offese a chi non è allineato con quelle idee. A me tutto questo non sta bene e credo che questo sia il pensiero degli organizzatori delle sardine e di chi ha aderito ai flashmob».
Un modo per far sentire la propria voce che in questo caso diventa più politica. «Per dire che ci siamo anche noi, che non dormiamo con la consapevolezza che quella delle elezioni regionali sarà una battaglia difficile e che il solo pensiero che l’Emilia possa finire amministrata dalla destra è impensabile e inconcepibile». Il fondo però è tutto sociale. «C’è una parte dell’opinione pubblica che è stanca, che vuole far sentire la propria voce, che vorrebbe politiche più decise di diritti civili e sociali.. ci ascoltate?».
Mary alla manifestazione ci deve ancora andare. La sua è quella di Rimini del 30 novembre. Il suo voto va da sempre a sinistra, ma anche in questo caso la voce che vuol far sentire è più ampia di uno schieramento politico. «Se si è creato questo clima insostenibile di odio e intolleranza, se gli italiani si sono “imbruttiti” nell’animo è anche perché la politica continua a mandare messaggi di chiusura. I social fanno da cassa di risonanza e i più si soffermano all’apparenza, incapaci di riflettere».