Tiro con l’arco, Lucilla e quelle che non sono mai state cicciottelle
«Il brutto è che tutti lo chiedono, che si ricorda più quello del fatto sportivo, un quarto posto che è stato il miglior risultato di sempre della squadra femminile di tiro con l’arco alle Olimpiadi». Quello che tutti ricordano e che Lucilla Boari non ama ricordare è il termine utilizzato in un titolo su quel quarto porto a Rio 2016: cicciottelle.
Superficiale è la parola che usa per definire quell’aggettivo che compie tre anni in questi giorni. Nell’agosto di tre anni fa l’azzurra viveva le sue prime Olimpiadi. «Nel nostro sport ci vuole una certa potenza, non puoi essere come chi fa la maratona» è la spiegazione semplice e immediata. È chiaro però che quella polemica e quanto ne è seguito, dalla lettera di scuse chiesta dalla Federazione alle dimissioni non chieste da loro di chi aveva fatto quel titolo, hanno pesato nei giorni e nelle settimane successive sulle atlete.
«Non avevamo un obiettivo preciso a Rio, ci eravamo qualificate all’ultimo come squadra femminile, ma una volta che sei ai giochi te la vuoi giocare. Siamo arrivate quarte. Certo che ci rimani male, ma la mia risposta di adesso è diversa dalla reazione di allora quando forse non avrei nemmeno risposto» dice Lucilla che ha in tasta già il pass per le prossime Olimpiadi, quelle di Tokyo 2020 a cui arriva con una maturità diversa e molte più medaglie in bacheca.
Come è stato andare ai giochi a 19 anni?
«Quando sono andata a Rio ero ancora junior. Per ogni sportivo è l’obiettivo della vita. Ero la più piccola del gruppo e una delle più giovani dell’intera spedizione. L’ho vissuta con spensieratezza».
A Rio è andata subito dopo la maturità da geometra.
«Finita la scuola ho ottenuto il pass in gara ad Antalya in Turchia, ho fatto la maturità e poi sono andata alle Olimpiadi, gara a squadra».
A che età ha preso in mano l’arco?
«Mio padre tirava da giovane e ha ripreso quando io avevo sette anni. Io sono andata in palestra con lui che mi ha fatto da primo istruttore. Mi ha aiutata ad amare lo sport il fatto di prenderci da subito, di avere subito buoni risultati e poi mi è piaciuto che fosse uno sport originale, di pochi».
Che sport è?
«Messo da parte Robin Hood, il cui fascino finisce con l’infanzia, è uno sport tanto mentale. Una volta affinata la tecnica questo sport è tutto, tutto, tutto di testa».
Gli altri come reagiscono quando dice che è una campionessa di tiro con l’arco?
«Di solito sono curiosi e lo stupore aumenta quando aggiunge la cifra: si tira a 70 metri per colpire un bersaglio rotondo che ha un diametro di 122 centimetri. (Diventano 12 i centimetri se si conta il centro che vale 10 punti, il massimo ndr)».
Quanto allenamento per fare questo?
«Tiro mattina e pomeriggio tutti i giorni e tre volte a settimana preparazione fisica in palestra. Trecento frecce al giorno. Ormai da 5 anni mi alleno al centro federale in provincia di Torino (lei è mantovana di nascita ndr), con il progetto federale scuola Tokyo 2020 per i giovani con l’obiettivo dei prossimi giochi olimpici. Ho anticipato i tempi andando a Rio».
La cosa difficile di questo sport?
«Tutto e niente. Magari arrivi preparatissimo alla gara e un particolare di porta non dare il meglio. Ogni gara è una storia a parte. Non bisogna farsi prendere dall’ansia di dover controllare tutto».
Uno sport da consigliare?
«Sì, fin da piccoli e fino a 60 anni. Ci sono tante persone avanti con gli anni che si avvicinano al tiro con l’arco. Per chi lo fa come hobby è estremamente rilassante. È uno sport per tutti».
Serve forza?
«Serve un minimo di potenza per aprire l’arco, poi ognuno ha un arco tarato su di sé. È questione di leve e molte cose sono personalizzate. Più potente è l’arco, più veloce va la freccia e minori sono le influenze che può avere per esempio dal vento».
E quando appoggia l’arco?
«Musica 24 ore su 24. Pop principalmente, ma anche più di nicchia. La musica anche in allenamento per spezzare la monotonia della ripetitività».