Sanità, un migliaio di precari assunto a tempo indeterminato per fronteggiare l'emergenza Covid
Nella legge di Bilancio nazionale viene autorizzata la stabilizzazione dei contratti a termine: sono 159 quelli che lavorano attualmente nell’Azienda sanitaria di Udine
UDINE. La Regione potrebbe riuscire a stabilizzare un migliaio di specialisti – tra medici, infermieri, operatori socio-sanitari e tecnici – assunti a tempo determinato per fronteggiare l’emergenza coronavirus.
Il condizionale, in questo caso, resta davvero d’obbligo perchè nelle prossime settimane, prima del via libera, sarà necessaria una serie di verifiche – in primis a livello di conti economici –, ma la strada è stata comunque tracciata nel corso dell’ultimo Consiglio dei ministri. Una riunione in cui, giovedì, il Governo ha varato la legge di Bilancio cui ha fatto seguito il comunicato stampa nel quale si è spiegato come «gli enti del Servizio sanitario nazionale vengono autorizzati a stabilizzare il personale assunto a tempo determinato durante l’emergenza». E se è vero che il Friuli Venezia Giulia è uscito da decenni dal Sistema sanitario nazionale, pare oggettivamente difficile ritenere come una norma di questo tipo, che fa riferimento all’intero Paese, si applichi in tutte le Regioni tranne in quelle, come la nostra, in cui si paga e si gestisce in autonomia il sistema-salute.
«Da un punto di vista strettamente economico – commenta Massimiliano Fedriga – a noi converrebbe trasformare i contratti di somministrazione, oppure a tempo determinato, in indeterminati. Per questo motivo, oltre alle indubbie necessità di mantenere il sistema al passo con i tempi garantendo innesti costanti di personale, mi sembra una buona notizia per quanto, lo ricordo, dovremo sempre restare all’interno dei parametri nazionali in materia». Come detto, tuttavia, bisognerà analizzare un paio di variabili a partire dal testo stesso della legge di Bilancio che non è stato ancora reso noto e trasmesso al Parlamento.
Nell’ultima bozza fatta circolare da palazzo Chigi, infatti, l’articolo 85, intitolato “Proroga dei rapporti di lavoro flessibile e stabilizzazione del personale del ruolo sanitario”, era definito come ancora “in verifica”. Economica, prima di tutto. Ora, sembra chiaro che, se dal Consiglio dei ministri è arrivato l’ok al comunicato stampa che comprende le trasformazioni dei contratti, le verifiche siano terminate. Ma i punti di domanda non sono finiti. Il testo della legge, in particolare, dovrà stabilire quali rapporti di lavoro – e a decorrere da quale data – potranno diventare fissi e, questo, non è un fattore secondario da tenere a mente. Perchè se il totale degli assunti a tempo determinato dall’inizio della pandemia in Friuli Venezia Giulia si aggira attorno al migliaio di persone – che diventano 53 mila su scala nazionale –, molti di questi contratti sono già terminati. Attualmente, per citare un esempio, nell’Azienda sanitaria Friuli Centrale risultano in organico a tempo determinato, per contrastare l’emergenza Covid, 159 dipendenti tra quadri dirigenziali – 21 persone –, medici, infermieri, operatori socio-sanitari, tecnici e amministrativi. Bisognerà quindi capire se il Governo darà il via libera soltanto alle stabilizzazioni dei contratti attualmente in essere – quindi i 159 di Udine, sempre a titolo esemplificativo – oppure consentirà di immettere nel sistema tutto il personale assunto in questo anno e mezzo di pandemia.
C’è, poi, un altro problema – tutt’altro che banale – da risolvere e cioè chi farà fronte al conto di queste assunzioni. La legge di Bilancio ha garantito un aumento del valore del Fondo sanitario nazionale da 2 miliardi di euro all’anno, dal 2022 al 2024, di cui, tuttavia, il Friuli Venezia Giulia non ne beneficerà affatto non facendovi parte. Le assunzioni a tempo determinato in regione dell’ultimo anno e mezzo, inoltre, sono state coperte dai trasferimenti garantiti in questi due anni dal Governo alla Regione – parliamo di 69 milioni 800 mila euro stanziati nel solo 2021 con la giunta che ne attende altri 28 milioni 600 mila – proprio per ovviare, almeno parzialmente, all’aumento dei costi sostenuti dalle Aziende sanitarie. La domanda, quindi, è quantomai semplice da porsi, ma di risposta forse non immediata: toccherà alla Regione sostenere questa spesa attingendo al proprio bilancio (magari utilizzando il taglio milionario ai contributi per il risanamento della finanza pubblica ottenuto dallo Stato per l’anno in corso dopo lo sconto da 538 milioni del 2020), oppure sarà Roma a coprire la differenza? «Il tutto – chiosa l’assessore alla Salute Riccardo Riccardi – tenendo anche in considerazione, a questo punto, la necessità di rivedere i limiti imposti dal decreto Calabria».