Infermieri uno strano intreccio
foto da Quotidiani locali
Con la recente ordinanza numero 56, la presidenza della Regione Toscana ha inteso, come già accaduto in passato, provare a gestire con una risposta parziale e temporanea alla crisi di un sistema che ha mostrato la sua ampiezza durante la pandemia, con l’esplosione di problemi già endemici ma mai affrontati con uno sguardo che andasse oltre il contenimento dell’emergenza.
Parliamo delle Rsa, che nel sistema misto toscano ospitano più di undicimila anziani in oltre 300 strutture: pubbliche, private, convenzionate, in appalto, in gestione diretta. Un sistema complesso, governato da leggi e regolamenti che a volte confliggono e presentano complicazioni organizzative non banali.
L’emergenza esplosa durante la primavera 2020 ha dimostrato, con gli effetti da onda lunga che vediamo oggi, come in un sistema interdipendente come quello toscano, muovere una pedina non è un gesto privo di conseguenze: lo vediamo oggi con la carenza di personale nelle strutture Rsa, carente poiché chiamato a prendere servizio nel sistema sanitario pubblico in una stagione straordinaria di reclutamento.
Per 50 giorni, l’ordinanza del presidente, stabilisce quasi kafkianamente che il personale infermieristico e assistenziale del sistema pubblico può, all’occorrenza, prestare servizio nelle Rsa che si trovassero in difficoltà a garantire i parametri di servizio previsti dal regolamento di convenzione.
Un operatore sociosanitario o un infermiere che è uscito dalla porta per prendere servizio nella sanità pubblica, rientrerà dalla finestra per supplire alle carenze provocate dalla sua stessa uscita.
E poi? E nel frattempo cosa succede nel sistema pubblico che dovrà fare (ancora) a meno di quel personale che era stato finalmente inserito a coprire mancanze storiche?
Abbiamo dal canto nostro chiesto di attivare confronti sindacali a livello di azienda sanitaria, ove si verifichino le situazioni che l’ordinanza prefigura: è il nostro ruolo e intendiamo esercitarlo, a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori che rappresentiamo, siano essi fra mura pubbliche o fra mura private.
Ma non basta. Come sempre abbiamo detto, la mancata programmazione sui fabbisogni di personale sanitario e sociosanitario è storia antica, i cui effetti si vedono oggi, e se anche dovessimo riempire tale vuoto non ne trarremmo benefici immediati: per formare un operatore socio sanitario o un infermiere servono università e scuole disponibili e servono alcuni anni di studio. Malauguratamente non accadrà come per le mascherine o i vaccini che dopo una iniziale scarsità sono stati prodotti in tempi brevi e in numero sufficiente.
Se il sistema soffre di carenze strutturali (che non vorremmo croniche) è giunto il momento di ripensarlo e renderlo in grado di affrontare un futuro in evoluzione, anche demografica. Vediamo circolare proposte e dichiarazioni: vorremmo che si andasse oltre l’emergenza, che si garantisse un confronto con i soggetti deputati, cogliendo l’occasione per perseguire due obiettivi fondamentali, la dignità degli ospiti nelle strutture e la dignità di chi in quelle strutture lavora. --
*segretario gen. Fp Cgil Toscana
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