Uccise la ex, condannato a vent’anni. Il padre amaro: «Questa non è giustizia»
Il terribile assassinio a coltellate di Marianna Sandonà, 43 anni. Per difendere la vittima dalle coltellate di Luigi Segnini il padovano Paolo Zorzi fu ferito gravemente: «Pena troppo leggera». L'accusa aveva chiesto l'ergastolo
MESTRINO. Primo verdetto per l’omicidio di Marianna Sandonà, la donna vicentina di 43 anni che lavorava alla Dab di Mestrino. L’8 giugno di due anni fa fu massacrata con 19 coltellate dall’ex fidanzato Luigi Segnini, camionsita di 39 anni: l’assassino, al termine del processo con rito abbreviato e dopo una breve camera di consiglio, è stato condannato ieri a Vicenza a vent’anni di carcere e nella pena sono comprese le gravi lesioni a Paolo Zorzi, il padovano di Cervarese Santa Croce, amico della donna che assistette al delitto e cercò di difenderla. La procura aveva chiesto l’ergastolo, ma il giudice ha derubricato il tentato omicidio del testimone in lesioni aggravate e soprattutto ha escluso tutte le aggravanti contestate, facendo scattare quindi lo sconto di pena di un terzo: da 30 anni a 20.
Risarcimento
Il killer dovrà risarcire i genitori e il fratello della vittima con 1,3 milioni di euro e Paolo Zorzi intanto con una provvisionale di 50 mila euro. Scontato il ricorso in appello. La tragedia avvenne a Montegaldella l’8 giugno del 2019. La relazione fra i due fidanzati era finita da qualche tempo quando Segnini chiese alla ex di tornare a casa sua per prendersi alcuni effetti personali. Sandonà non si fidava, tanto che chiese al collega e amico Zorzi di essere presente e fece partire la registrazione del telefonino. Nei mesi successivi la procura riuscì a ricostruire il delitto grazie proprio a quanto rimasto impresso nella memoria del cellulare. In quella registrazione sono state ascoltate le urla, le coltellate e l’insulto che l’assassino rivolse alla vittima quando era già morta. Nel file audio non c’è traccia di alcuna discussione tra gli ex. Marianna e il killer avevano avuto una relazione di un paio d’anni e per un periodo avevano convissuto. Seconda la procura Segnini, che poi tentò di suicidarsi, giunse a casa di Marianna con il proposito di ucciderla. Nemmeno il fatto che Zorzi stesse assistendo alla restituzione aveva impedito al camionista di scatenare la sua furia sulla ex e sull’amico rimasto poi per mesi ricoverato in ospedale a lottare per la vita.
Accusa e difesa
Per il pm il camionista aveva agito per futili e abietti motivi, crudeltà e premeditazione, colpendo ripetutamente Sandonà a Zorzi con un coltello da sub con lama da 12 centimetri seghettata. Non sopportava che lei potesse continuare la sua vita con un altro. La registrazione telefonica ha dato in aula l’idea del terribile dramma, con l’omicida che aveva agito all’improvviso, senza subire provocazioni. Per i difensori, Segnini soffriva di un disturbo psichico, negato però dallo psichiatra incaricato dal tribunale, che ha comunque fatto presente le difficoltà di relazione dell’imputato. Non solo: non c’era stata premeditazione, perché Segnini aveva agito d’impulso dopo aver trovato il coltello in garage; non c’era crudeltà, non c’erano motivi futili. E l’aggressione a Zorzi non era stato un tentato omicidio. Il giudice ha accolto in toto questa ricostruzione, condannando comunque il camionista alla pena più alta possibile (30 anni).
Commento amaro
Segnini si era fatto interrogare, scrivendo anche delle lettere agli inquirenti ammettendo le sue responsabilità, e in aula non ha mai aperto bocca. «Una sentenza ingiusta, non è giustizia questa», commenta Marino Sandonà, il padre di Marianna. «Purtroppo i nostri timori si sono rivelati fondati. A me non cambia nulla, nessuno mi ridarà mia figlia. Però il messaggio è che uccidere Marianna non vale il carcere a vita, e mi dispiace. I soldi? Se mai arriveranno non saprò cosa farmene. L’unica cosa che mi fa piacere è che si è fermata la scia di furti di fiori e piante in cimitero, sulla tomba di Marianna. Chi li ha portati via ha commesso un crimine ai miei occhi quasi più grave di quello di Segnini». Sandonà ha guardato Paolo Zorzi, al suo fianco, scuotendo la testa. «Mi spiace che Segnini non abbia mai trovato il coraggio di scriverci e di guardarmi in faccia».
«Oggi sto bene, fisicamente mi sono ripreso. Ma quello che è successo a Montegaldella non lo dimenticherò mai», dice Zorzi, con le mani che gli tremano. «Vent’anni sono troppo pochi per quello che quell’uomo ha fatto».—
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