Perché vogliono eliminare i buoni pasto? Le richieste, chi può utilizzarli e quanto costano a negozi e ristoranti
foto da Quotidiani locali
UDINE. La protesta contro i buoni pasto trova terreno fertile anche in Friuli Venezia Giulia: i ristoratori e i titolari dei pubblici esercizi minacciano di non accettarli più, mentre alcuni supermercati stanno riducendo i punti vendita autorizzati a ritirarli.
Il motivo è presto detto. Se un buono pasto vale 10 euro chi lo ritira incassa il 15 per cento in meno, in alcuni casi non riceve neppure otto euro. Il problema non è nuovo, ma nel momento in cui la Centrale unica degli acquisti (Consip) si prepara a pubblicare, tra fine giugno e inizio luglio, la gara per le nuove forniture, le associazioni di categoria chiedono a gran voce di riformare il sistema senza escludere possibili azioni di protesta, come lo sciopero del ticket, se le loro richieste non saranno accettate.
In quest’ultimo caso a farne le spese saranno soprattutto i dipendenti pubblici, che utilizzano i buoni pasto anche per acquistare generi alimentari nei supermercati. In regione si contano circa 89 mila statali e se solo una minima parte paga con i buoni pasto la spesa e le consumazioni le ricadute restano comunque importanti.
Il sistema
«Il sistema non è più accettabile» ripetono i rappresentanti delle associazioni Ancd Conad, Ancc Coop, Confesercenti, Federdistribuzione, Fida e Fipe-Confcommercio a Roma e in regione. All’unanimità, l’altro giorno, nella capitale, hanno definito il sistema non più sostenibile perché nel momento in cui restituiscono il buono pasto all’agenzia che lo ha emesso incassano il suo valore ridotto di una provvigione che dal 15 può superare il 20 per cento.
Se fino a questo momento, nonostante qualcuno già si rifiuti di ritirare i buoni pasto, il sistema, seppur a fatica, ha retto, ora con la nuova gara all’orizzonte e l’aumento dei prezzi, gli addetti ai lavori sono certi che non sarà più così.
Anche perché stanno già fronteggiando i rincari dei generi alimentari e i maggiori oneri provocati dalla pandemia. «Questo meccanismo – ha ribadito ieri il segretario generale Ancd Conad, Alessandro Beretta – finisce per far pagare a noi privati i risparmi del pubblico».
Le richieste
Le aziende chiedono la riduzione dei ribassi sul prezzo previsti dal bando di gara in corso di pubblicazione da parte della Consip, e la riforma del sistema facendo proprio il modello utilizzato in altri Paesi europei.
Il confronto con le ultime due gare esperite dalla Consip preoccupano non poco i ristoratori, i baristi, i responsabili dei supermercati e tutti coloro che accettano i buoni pasto: nel 2018 e nel 2020 gli esercenti – questo è stato detto a Roma nel corso dell’incontro organizzato nella sede della Fipe-Confcommercio – gli esercenti hanno pagato commissioni medie tra il 17 e il 19 per cento.
Da qui la sottoscrizione di un manifesto per ribadire la necessità di mantenere invariato il valore nominale dei titoli e la definizione di tempi certi per ottenere i rimborsi dalle società che li emettono.
Tra i problemi sollevati, infatti, ci sono anche le lungaggini: in alcuni casi gli esercenti incassano quanto gli spetta anche dopo diversi mesi. Ricordano inoltre che in passato, a seguito del fallimento di alcune società autorizzare a emettere i buoni pasto, hanno pagato conti salatissimi.
Il titolo elettronico
L’auspicio di tutti è che si completi il passaggio dal buono cartaceo a quello elettronico. Il processo è in corso e prevede riconoscimenti fiscali più favorevoli per chi usa gli elettronici. In alternativa c’è chi sollecita il passaggio rapido alle carte di credito ricaricabili visto che alcune aziende le stanno già adottando. —
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