«Start Tour»: perché il Liga è sempre il Liga (anche alle prove generali)
Il ferro, le luci, un’immensa passerella dall’aspetto industriale ad essere allestita in mezzo al nulla: in quello spazio fieristico, alle porte di Reggio Emilia, la musica è arrivata all’improvviso e il chiacchiericcio dei pochi ospiti presenti è stato sopraffatto dalla Polvere di Stelle. Sette schermi si sono accesi e una grafica anni Novanta, senza colori né fronzoli, ha lasciato brillare sopra il palcoscenico buio due grandi L.
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Ligabue torna con «Start»: «Voglio concedere speranza al futuro»Luciano Ligabue è comparso con indosso la divisa di rito. I jeans stretti e scuri, sapientemente sbiaditi da un numero di lavaggi sufficiente ad essere chic, gli stivali neri, il chiodo in pelle. L’afa di un’estate ancora incerta gli è piombata addosso, appiccicosa e umidiccia, ma il Liga, microfono in mano e chitarra sulla spalla, l’ha ignorata. Luciano Ligabue ha cantato. Ha cantato, in faccia all’aria pesante che la periferia di Reggio Emilia si è portata appresso, ai mosquitos e alle lucciole, più numerose delle stelle. Ha cantato, in faccia ai «portoghesi, con le sedie e i bambini» radunati ai piedi del palco. Ha cantato, Ligabue, come fosse già a Bari, al centro di quello Stadio San Nicola dove, venerdì 14 giugno, inaugurerà lo Start Tour.
Il cantante, nella prova generale cui, venerdì sera, è stato garantito l’accesso solo a un manipolo di persone, amici e giornalisti per lo più, ha messo in scena la scaletta che sarà. Polvere di Stelle e l’Ancora Noi dell’album Start. Poi, Balliamo sul Mondo, Bambolina Barracuda, un medley voce-e-chitarra tra L’Amore Conta e Un Colpo all’Anima. Ligabue ha mischiato il nuovo al vecchio, regalando all’insieme un’armonia furba. «La scaletta è sempre un problema, quando si preparano gli Stadi: oltre ai fan, capita che ad uno spettacolo tanto grande arrivino spettatori casuali, perciò ho cercato di fare sentire buona parte del nuovo materiale e alcuni tra i brani più famosi», ha detto, scusandosi poi di non aver potuto assicurare al suo piccolo pubblico quell’interazione e quel calore che solo un vero concerto porta con sé. «Sei dei brani in scaletta compiono trent’anni l’anno prossimo», ha sottolineato, ma all’ipotesi di un secondo Campovolo, di una festa immensa a celebrare la sua carriera, non ha voluto dare seguito.
Le parole, poche, hanno riguardato la musica. «La Cattiva Compagnia è ciò che ci popola, sono i fantasmi, i pensieri, le paure che non ci permettono di essere quel che vorremmo», ha ammesso, raccontando il perché di certe immagini che accompagnano i suoi brani, di certe citazioni e di un certo impegno sociale. Ligabue è stato breve, e le parole, poche, sono arrivate a margine di una serata senza monologhi né panegirici. Sul palco, nel mezzo della fiera di Reggio Emilia, c’è stata solo musica. Due ore e un quarto di canzoni, accompagnate dalle luci e dagli schermi, da un bagliore di Luna Park che profuma di greatest hits e profuma d’estate. Ligabue ha ripercorso, veloce, la propria carriera. Ha inaugurato il «Rock Club», con un medley – in punta di passerella – tra Vivo o Morto o X, Eri Bellissima, Il Giorno dei Giorni, L’Odore del Sesso, I Ragazzi Sono In Giro, Libera Nos A Malo e Il Meglio Deve Ancora Venire. Ha intonato Certe Donne Brillano e Certe Notti. Si è sgolato Tra Palco e Realtà, con Piccola Stella Senza Cielo. Poi, ha chiuso con Urlando Contro Il Cielo e nella notte ha lasciato riecheggiassero scampoli di melodia. Scampoli di canzoni che hanno bussato in testa ai suoi pochi ospiti fino ad imporre loro una riflessione.
Non importa quanti anni passino o quante critiche Ligabue incassi, non importano le lamentele dei detrattori, impegnati, tutti, nel maledire quei suoi suoni eternamente uguali. Sotto il cielo d’estate, basta una nota, una sola, per riconoscersi, grandi e piccini, nella disperata meraviglia di chi «ha sogni troppo grandi e belli, sai». Nella caparbietà eroica di chi non ha classe, «ma gambe e fiato finché vuoi». Nella serafica rassegnazione di chi sa che «ci pensa la vita, mi han detto così». Nella malinconia di chi guarda la fiamma spegnersi, augurandosi solo che sia stato tutto «come progettavate voi da piccole». Basta una nota, una sola, perché i ricordi abbiano la meglio sulla realtà, perché si portino via tutto: le critiche, le malelingue, i tempi barbari, l’odore di campagna che, pungente, la notte, spira verso Reggio Emilia, travolgendo tutto. Pure, il suo spazio fieristico.
foto © Jarno Iotti
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