Gli Usa si isolano, l’Ue sta ferma, i Brics+ ne approfittano: il 2025 ha cambiato l’ordine mondiale
Il 2025 ha sancito la fine di un’era: quella di un pianeta sincronizzato, nata dall’illusione che la vittoria della guerra fredda diventasse l’asse portante di un assetto occidentalizzato attraverso la globalizzazione. La realtà è esattamente l’opposto: un mondo poliritmico, dove ogni continente vive secondo un proprio tempo storico. Al centro di questa frattura, due movimenti opposti definiscono la nuova epoca: il ritorno all’isolazionismo armato degli Stati Uniti e l’ascesa sistemica dei BRICS+ come architrave di un ordine alternativo che va da Brasilia a Shanghai.
Questa asimmetria temporale è la cartina di tornasole del caos sistemico attuale. Comprenderla è la chiave per interpretare il 2025 e anticipare il 2026. In Europa la consapevolezza di questa realtà è, ahimè, assente.
Nessuna regione ha vissuto il 2025 con l’intensità dell’America Latina. il vero evento epocale è stato duplice: il Brasile, presiedendo simultaneamente G20 e BRICS+, ha compiuto un atto di “diplomazia della sovrapposizione”, dimostrando di poter operare in tutti i forum globali mentre ne costruiva uno nuovo. La COP30 a Belém, sotto l’egida brasiliana, ha posizionato l’Amazzonia e la giustizia climatica come pilastri dell’agenda dei BRICS+. Questo non è soft power: è potere strutturale. Il Brasile ha usato la sua presidenza per accelerare l’operatività della Nuova Banca di Sviluppo (NDB), promuovere l’uso di valute locali nel commercio intra-blocco e lanciare un’iniziativa per la sicurezza alimentare e climatica del Sud Globale. I BRICS+ non sono più una reazione all’Occidente; sono il sistema operativo attraverso cui il Brasile e altri giganti demografici gestiscono la loro ascesa.
Mentre il Brasile moltiplicava le sue alleanze, gli Usa sceglievano di isolarsi. Questo ritiro non è solo geopolitico; è sistemico. Washington non partecipa più alla costruzione di nuove istituzioni globali, le diserta o le sabota. Il problema è che, nel vuoto creatosi, i BRICS+ stanno costruendo un nuovo sistema. Il rifiuto americano di riformare le quote del FMI e della Banca Mondiale ha spinto dozzine di paesi verso la NDB e i meccanismi di swap valutari dei BRICS+.
L’Europa vive in un tempo sospeso, paralizzata dalla scelta impossibile tra un protettore americano che si ritira e l’opposizione al vicino eurasiatico (la Russia) che è parte integrante dell’ecosistema BRICS+ in espansione. L’Ue osserva con crescente ansia come l’agenda dei BRICS+ – sicurezza alimentare ed energetica, sviluppo infrastrutturale, transizione climatica “non punitiva” – stia diventando irresistibile per i suoi vicini in Africa e Balcani. L’Europa è tagliata fuori da questo circuito finanziario e politico alternativo, e la sua stagnazione produttiva la rende poi un partner sempre meno attraente per il Sud Globale in movimento. L’Europa rischia di diventare un’isola di relativo benessere in declino in un mondo che sta adottando altri standard.
L’Asia vive in un altro secolo e fornisce la potenza motrice dei BRICS+. La Cina non è solo un membro; ne è il principale finanziatore, il fulcro tecnologico e il propugnatore dei commerci. L’India è il contrappeso democratico e demografico, il ponte con il mondo anglosassone e il garante che il blocco non diventi un’alleanza antioccidentale. Insieme, forniscono la massa critica economica, tecnologica e militare che rende i BRICS+ credibili. I successi asiatici in produttività, descritti dai dati del 2025, sono la garanzia di sostenibilità del progetto. I BRICS+ offrono all’Asia un mercato interno protetto, rotte commerciali alternative (via Iran, Russia, Africa) e un peso collettivo nelle negoziazioni climatiche e tecnologiche con l’Occidente. È la proiezione del sistema della loro ascesa.
Per l’Oceania, l’espansione dei BRICS+ ridefinisce la geografia della pressione strategica. Paesi come le Fiji o Papua Nuova Guinea guardano con interesse crescente alla NDB per finanziare l’adattamento climatico, un’area in cui i tradizionali donatori occidentali sono percepiti come lenti e insufficienti. Australia e Nuova Zelanda si trovano a navigare in un Pacifico dove l’influenza cinese (nel quadro BRICS+) e le offerte di cooperazione climatica del Brasile competono direttamente con la loro tradizionale leadership. Il “vicinato” strategico si allarga: non è più solo il Sud-Est asiatico, ma l’intero emisfero Sud che si coordina tramite i BRICS+.
I dati del 2025 sul sorpasso produttivo asiatico spiegano perché i BRICS+ non sono un’utopia. Hanno un motore economico reale e dinamico. La stagnazione europea e l’isolazionismo americano creano un vuoto di domanda e di investimento. I BRICS+, con la loro crescita sostenuta, stanno creando un circuito economico integrato: materie prime dall’Africa e America Latina, trasformazione manifatturiera e tecnologia dall’Asia, finanziamento dalla NDB, consumo da una borghesia in espansione in tutti i paesi membri. È un embrione di globalizzazione parallela, con standard e istituzioni propri.
La domanda per il 2026 diventa quindi: assisteremo alla cristallizzazione di due sistemi globali parzialmente integrati?
La sfida non è più immaginare un tempo condiviso con un unico orologiaio, l’Occidente, ma prevenire che la desincronizzazione dei tempi storici degeneri in uno scontro frontale tra due sistemi, uno vecchio ed uno emergente. Il successo o il fallimento dei BRICS+ come piattaforma di governance concreta – al di là della retorica – sarà il fattore determinante della stabilità mondiale nel prossimo decennio. L’Europa, immobile, rischia di essere il terreno di scontro, non più l’attore.
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