Gisele: «Piantiamolo subito!»
Questo articolo è pubblicato sul numero 4 di Vanity Fair in edicola fino al 27 gennaio 2020
La fine della sua prima vita arriva presto. A 20 anni, Gisele Bündchen va a 300 all’ora: è la modella più pagata della storia delle modelle, la donna più invidiata al mondo (per il corpo perfetto, i capelli pettinati dal vento e l’allora fidanzato, Leonardo DiCaprio). Sempre su e giù da un aereo, pronta per uno shooting. Veloce, Gisele, c’è un evento! Presto, presto, il red carpet non aspetta. A pranzo hamburger e patatine fritte, per cena una bottiglia di vino, in mezzo un pacchetto di sigarette (Parliament, le sue preferite). Oggi è a Parigi, domani a Los Angeles, dopodomani chissà. Poi, di colpo, l’abisso. A 24 anni prova i primi attacchi di panico. Crede di morire. Il dottore le prescrive un calmante. Lei invece decide di calmare la sua vita.
Rientra a casa, in Brasile, per un po’. Passa dieci giorni nella regione Xingu dove incontra la tribù di Indios Kisêdjê, la cui vita è profondamente danneggiata dalla deforestazione e dall’inquinamento delle falde acquifere. Decide che quello sarà il nuovo epicentro della sua esistenza. Quando torna in città, ribalta la sua vita. Partendo dai capelli, che taglia fino alle spalle: prima e unica volta. Seguono altri tagli più significativi. Molla, nell’ordine, vino, sigarette e fidanzato. E mette ordine nella sua routine quotidiana: sveglia presto, meditazione, yoga, alimentazione salutare, soprattutto a base di verdure. Trova un altro uomo, quanto di più lontano possibile dal genio e sregolatezza che l’aveva incantata fino a ora. Si fidanza con un disciplinatissimo giocatore di football americano: il quaterback dei New England Patriots Tom Brady che lei definisce «una persona senza un grammo di cattiveria in corpo» e che, nel giro di tre anni, diventa suo marito nonché il padre dei suoi due figli, Benjamin, oggi 11 anni, e Vivian, 8.
Lascia le passerelle all’apice della carriera, e ne comincia un’altra, quella di ambasciatrice per l’ambiente. Accanto alle classifiche delle «donne più belle del mondo», delle «più desiderabili», delle «più retribuite», il suo nome comincia a circolare in contesti diversi: nel consiglio di amministrazione della Ong Rainforest Alliance; tra i finanziatori di progetti speciali per la riforestazione dell’Amazzonia; nel cast di Years of Living Dangerously (anni vissuti pericolosamente), il lungometraggio sul cambiamento climatico firmato National Geographic; tra i produttori esecutivi di Kiss the Ground, un documentario dedicato a spiegare i benefici dell’agricoltura rigenerativa nel recuperare la fertilità dei terreni, aumentare la biodiversità, ridurre l’impatto ambientale, migliorare la qualità dell’acqua e nutrire il Pianeta; tra i fondatori, insieme a suo padre, dell’Água Limpa Project, un’iniziativa «nata dal desiderio di fare qualcosa di buono per i miei luoghi d’origine, nella speranza di migliorare la qualità dell’acqua locale per le generazioni future. Sotto il coordinamento di mio papà, abbiamo piantato 40mila alberi e bonificato le sponde di una delle maggiori falde acquifere della città».
Era definita la «Regina Mida della moda» perché tutto ciò che toccava si trasformava in oro: a un certo punto era stato creato addirittura un «Gisele Bündchen Stock Index» per valutare come salissero le quotazioni sul mercato dei prodotti da lei sponsorizzati (spoiler: salivano, parecchio). In poco più di dieci anni, è diventata la «Regina Mida della sostenibilità». Scelta come Ambasciatrice dell’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente nel 2009, nel 2011 riceve il premio Global Environmental Citizen e subito dopo viene nominata The Greenest Celebrity all’International Green Award di Londra.
L’anno scorso, ha festeggiato i suoi primi 40 anni promettendo di piantare altri 40mila alberi nella foresta amazzonica. E dichiarando di non essere mai stata più felice. I tempi dei record, delle oltre duemila copertine scattate, delle quasi mille sfilate camminate e 500 campagne pubblicitarie, delle notti brevi e brave, delle giornate cadenzate da un caffè dietro l’altro non le mancano per niente. Preferisce di gran lunga questa sua seconda vita dove, anziché andare a letto che è già l’alba, all’alba si sveglia. E dove ha deciso di prendersi cura di sé e del mondo. Perché, come dice lei, «la natura è vitale per la sopravvivenza di tutti noi. Gli esseri umani sono parte della natura e quando feriamo l’ambiente, feriamo noi stessi. Anche da un punto di vista pragmatico, il calcolo è semplice: occorrono molto più tempo e più risorse per risanare la natura che per preservarla».
Questi sono temi a cui lei pensa quotidianamente, con i suoi figli e per i suoi figli. Da quando è diventata madre, infatti, l’impegno verso il Pianeta si è acuito. Tra i suoi desideri, c’è quello di lasciare a Benjamin e Vivian un mondo migliore di quello che ha conosciuto lei. Per farlo comincia dal piccolo, da casa, dove, parole sue, fa di tutto «perché i bambini entrino in contatto con la natura visto che si ama e si protegge ciò che si conosce meglio». In concreto, si dedica a numerose attività: dalla raccolta differenziata all’apicultura, dall’utilizzo di pannelli solari all’orto botanico. «Quest’ultimo, in particolare, rappresenta un’ottima occasione di apprendimento perché permette ai miei figli di osservare da vicino quanto sforzo occorre a un seme per crescere e trasformarsi nel cibo che trovano nei loro piatti». Quando invece il menù prevede carne, c’è un rituale a cui Bündchen non rinuncia: una silenziosa preghiera di ringraziamento. «Credo profondamente che tutto sia energia. Gli animali sono esseri viventi che meritano il nostro apprezzamento. Pregare prima di mangiarli è il mio modo per mostrare la mia riconoscenza verso queste creature e la mia riverenza nei confronti della natura».
Oltre a tutto ciò, Gisele insegna a Benjamin e Vivian «la regola delle tre R: ridurre, riutilizzare, riciclare». Un approccio semplice che permette di trovare alternative eco-friendly a ogni attività quotidiana. E che, messe tutte insieme, fanno la differenza. Alcune regole base della famiglia Bündchen-Brady: limitare l’uso di carta e plastica, bere l’acqua del rubinetto opportunamente filtrata e conservata in borracce (vietate le bottigliette usa e getta), fare la spesa con le proprie borse evitando quindi i sacchetti del supermercato, privilegiare i prodotti sfusi e a km zero così da rinunciare a ogni forma di packaging. E poi, giocare il più possibile all’aria aperta: il tempo concesso con smartphone e tablet è limitato, mentre è incoraggiata l’esplorazione della natura, con passeggiate e giardinaggio. Non solo, ai suoi figli regala pochi giocattoli: «In questo modo imparano a condividerli e ad apprezzare ciò che hanno. Inoltre, ogni volta che ricevono un gioco nuovo, devono sceglierne uno vecchio da donare. Cerco di spiegare loro che, quando gettiamo via qualcosa, finisce da qualche parte: in un campo, nell’oceano, magari perfino nello stomaco di una balena»
I risultati sono già tangibili: dal decimo compleanno, Benjamin ha smesso di chiedere regali. Dopo aver visto le foto di un orfanotrofio per elefanti che sua mamma aveva visitato in Kenya, era così triste per quei cuccioli a cui i bracconieri avevano ucciso le madri, che ha deciso di rinunciare ai doni in cambio di donazioni per loro.
Una simile rivoluzione sarebbe auspicabile anche all’interno della catena produttiva delle grandi industrie. «Il consumismo è profondamente radicato nella nostra società. Molti di noi sono cresciuti pensando di aver bisogno di più cose. Ma quali sono le cose di cui abbiamo bisogno? La verità è che dobbiamo diventare consapevoli delle conseguenze delle nostre scelte. Dobbiamo porci domande quali: da dove vengono i prodotti che acquistiamo? Sono stati realizzati da aziende che rispettano il lavoro, la salute e il benessere degli operai? Che tengono da conto la natura e che quindi minimizzano l’impatto ambientale delle loro azioni? Io credo che, in primis, dobbiamo cominciare a pensare a come consumare meno. So che non è facile, ma da qualche parte bisogna pur iniziare. In secundis, è importante pretendere più trasparenza dalle aziende che si impegnano nello sviluppo di una catena produttiva più equa, sostenibile e quindi meno pericolosa per l’ecosistema e per le vite umane».
Un buon esempio in tal senso lo forniscono i Campioni della Terra, «giovani imprenditori, artisti scienziati premiati dall’Unep per le loro iniziative in difesa dell’ambiente. Sono tutte persone che hanno chiaro un principio: quando si parla di ambiente, il pericolo più insidioso consiste nel non fare nulla».
Un principio che dovrebbe essere applicato a tutti i settori, fashion industry incluso. Tranquilli, Gisele ci sta già lavorando. Da anni a dir il vero. Da quando, nel lontano 2002 aveva accettato di essere la testimonial di un brand di pellicce. La stagione successiva, mentre sfilava su una passerella della New York Fashion Week, è stata duramente attaccata da quattro attivisti di Peta, l’Associazione per il trattamento etico degli animali. Hanno scansato la sicurezza e l’hanno accerchiata con tanto di cartelli. Anziché risentirsi verso quello che poteva esser letto come un gesto di violenza contro la sua persona, ha fatto ammenda con una lettera di scuse. Ha spiegato pubblicamente che lei per prima non indossa le pellicce, ama gli animali. Al tempo aveva quattro cani e due cavalli e si batteva per la conservazione dell’orso siberiano. Quello per Bündchen è stato un bagno di realtà: non avrebbe mai più firmato un contratto per accontentare l’agenzia. Avrebbe deciso, ogni volta, seguendo la propria coscienza.
Proposito mai tradito: ancora oggi collabora solo con le maison che mostrano un approccio sensibile al tema della sostenibilità. Ovvero che sono disponibili a «minimizzare le emissioni di anidride carbonica, a servirsi di tinte naturali e materiali riciclabili come alghe, canapa e bambù». Per un gran gala nel 2018 è già riuscita a convincere Donatella Versace a realizzare per lei un abito in seta organica tinteggiato responsabilmente. E, scommettiamo, che tanti altri seguiranno. D’altra parte, è difficile resistere al suo appello: «Se capissimo che la nostra sopravvivenza dipende dalla Terra e dai suoi doni, sicuramente avremmo più cura dell’aria che respiriamo, del suolo che calpestiamo, del cibo che mangiamo. Il cambiamento è già iniziato. La vera rivoluzione, però, accadrà quando la sostenibilità diventerà una priorità per tutti i consumatori. I mezzi per cambiare ci sono. Dobbiamo solo volerlo».
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