Fotografie dall’album della felicità 15
Questo articolo è pubblicato sul numero 4 di Vanity Fair in edicola fino al 26 gennaio 2021
La felicità è noiosa, sosteneva la mia prima insegnante di scrittura. Nel cuore di ogni storia davvero buona, c’è del dolore. All’epoca mi sono trovato d’accordo con lei. E forse anche oggi. Alcuni anni fa però ho creato sul mio computer un file segreto intitolato «Fotografie dall’album della felicità». Di tanto in tanto lo apro. E scrivo
Dopo tutte le volte che ho avuto l’impressione di vederti (al centro commerciale Dizengoff di Tel Aviv, su un treno a Berlino – che poi quant’era probabile trovarci a Berlino esattamente nello stesso fine settimana? –, alla manifestazione contro la legge per l’immunità parlamentare del primo ministro, alla manifestazione per la libertà di espressione artistica, in spiaggia, al parco), alla fine ti ho visto su Zoom. All’incontro in memoria di Hanoch. All’evento erano iscritte un centinaio di persone, perciò il programma ha diviso i partecipanti in quattro stanze virtuali. Tu però ti trovavi proprio nella mia. I nostri rettangoli erano abbastanza vicini. Ci divideva una mossa del cavallo. Niente di più. Ma ci hai messo parecchio a notare che ero vicina a te. Quando te ne sei accorto, mi hai salutato con la mano. Discretamente. Eravamo pur sempre alla commemorazione funebre di una persona cara a entrambi, e una donna stava leggendo una poesia triste. In risposta ho congiunto le mani in una specie di ringraziamento indiano. (Salvo poi pensare: ringraziamento? Per cosa? Per avermi fatta innamorare di te e poi esserti spaventato, per avermi spezzato il cuore e l’autunno successivo riavvicinata, e poi esserti di nuovo spaventato?)
Eri ben rasato. Che fosse perché avevi immaginato di incontrarmi? I capelli invece erano in disordine. Come se non li lavassi da tempo. In faccia avevi qualche brufolo. L’angolazione della ripresa ti faceva risaltare il naso, e in generale non ti donava.
Eppure ti ho trovato bello. E mi sono domandata che effetto ti facevo. E sono stata contenta di aver deciso all’ultimo di infilarmi una camicetta decente. E mi è dispiaciuto di non avere il rossetto.
Il responsabile dell’evento si rivolgeva di volta in volta a una persona diversa e chiedeva di dire due parole su Hanoch. Alcuni dipendenti hanno raccontato di un colloquio di lavoro che si era trasformato in una chiacchierata intima. Diversi amici hanno raccontato come li aveva sostenuti in momenti di difficoltà. Dopo una separazione. Dopo la perdita di un genitore.
Ogni volta che qualcuno finiva di parlare ti guardavo, e avevo l’impressione che tu guardassi me.
Dietro di te c’era il cielo azzurro e delle nuvolette. Inizialmente ho pensato che fossi uscito nel giardino di casa vostra, poi mi sono accorta che le nuvole erano immobili e ho capito che avevi semplicemente scelto uno degli sfondi di Zoom.
Ho immaginato cosa sarebbe successo se tu avessi chiesto di parlare per raccontare, per esempio, come ci eravamo conosciuti grazie a Hanoch. Eravamo seduti, ognuno con il suo computer, a due tavolini di un piccolo ristorante, Puaa, e lui è entrato e ha detto, voi due vi conoscete? E si è seduto con noi per qualche istante finché non ce la siamo sbrigata da soli.
O che avresti raccontato come una volta, a casa sua, tu e io. Tua madre era morta da poco, e lui ci aveva lasciato le chiavi.
Non hai chiesto di parlare. E io nemmeno.
Pian piano ci siamo allontanati. Come succede su Zoom. Ogni volta che qualcuno esce o entra, l’ordine dei rettangoli sullo schermo si modifica. Eravamo ancora nella stessa stanza, ma ormai ci dividevano molte persone.
Se avessi avuto il tuo numero, forse ti avrei scritto qualcosa. Tipo: «Che virus bastardo, non ti lascia nemmeno piangere un amico come si deve».
Ma ti ho cancellato dai contatti dopo l’ultimo giro, e qualche mese fa ti ho bloccato per non ricevere più i tuoi messaggi, che ogni volta mi scombussolavano.
Prima della conclusione, una ragazza ha suonato e cantato Elul a Ein Karem: «Non morire adesso, non morire adesso».
Mi sono spuntate le lacrime. Non sono sicura che fosse per la ragione giusta.
Poi il responsabile ha ringraziato tutti i partecipanti e ci ha augurato buona salute.
E noi due abbiamo schiacciato nello stesso secondo la X all’angolo dello schermo. Il sistema mi ha chiesto se volevo lasciare la conferenza. E ho risposto «sì».
(Traduzione di Raffaella Scardi)
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