Aalto Part of Iyo, il ristorante della «cucina libera» (e che non ha paura)
La Guida Michelin 2021 ha emesso i suoi verdetti. I tre nuovi bistellati, le stelle verdi e le 26 new entry nell’èlite della ristorazione italiana. Tutti hanno storie da raccontare ma quella che a nostro parere merita qualche riga in più è quella di Aalto Part of Iyo: il secondo locale a Milano di Claudio Liu, ristoratore di origine cinese ma cresciuto in Italia.
Il nome di Claudio Liu – insieme a quello dei fratelli, Marco e Giulia, che guidano rispettivamente due altri capisaldi nel panorama della ristorazione milanese, il Ba Restaurant e il Gong Oriental Attitude – si è fatto strada in questi anni in città e in tutta Italia. Nel 2015 il primo locale di Claudio, Iyo Taste Experience, fu anche il primo «ristorante etnico» d’Italia a ricevere la stella Michelin, ma soprattutto, sono stati i ristoranti dei fratelli Liu – 6 in totale a Milano – a far passare l’idea che fare distinzioni nell’origine della cucina (italiana, cinese, giapponese…) non avesse più molto senso: quello che lo aveva, e lo ha, è la qualità. E ancora oltre: Milano, grazie anche a loro è diventata un po’ più cosmopolita, più aperta e sempre più moderna.
Non è un caso che la guida del Gambero Rosso 2021 abbia assegnato alla famiglia intera il premio come migliori ristoratori dell’anno. È una svolta importante, forse epocale: i Liu hanno lasciato Correggio al seguito dei genitori e come centinaia di ragazzi cinesi hanno iniziato a lavorare nel locale del padre. Hanno imparato e sfruttando la storica apertura di Milano verso la cucina etnica, si sono messi in proprio e pian piano hanno conquistato pubblico e critica. Lanciando talenti (spesso anche italiani, anche questo va sottolineato) e creando un «sistema di ristoranti» che ha pochi uguali in Italia perché se abbondiamo di famiglie fantastiche ed esperte nel gestire «il» locale sono poche (per esempio gli Alajmo e i Cerea) quelle capaci di seguirne tanti.
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Ristoranti Gambero Rosso 2021: nuove eccellenze e il successo della cucina cineseAalto Part of Iyo esprime un altro concetto che risulta complicato a molti patron italiani ma rientra nella mentalità orientale. Andare avanti, evolversi, con grande spirito imprenditoriale e anche grandi sogni. Claudio Liu non si è fermato agli allori di Iyo. Anzi da anni sentiva l’esigenza di alzare ulteriormenente il livello e ha messo a fuoco il tema con Aalto Part of Iyo che nel nome unisce quella storica alla location, in piazza Alvar Aalto, al primo piano della Torre Solaria, il grattacielo residenziale più alto d’Italia, con i suoi 143 metri e 34 piani. «Se mi avessero chiesto di decidere dove aprire il mio secondo locale, avrei scelto proprio quest’angolo: è il cuore della Milano moderna, senza frontiere, che guarda al futuro» ci disse. Non ha cambiato idea, ovviamente. Anzi, non vede l’ora di riaprire le porte.
Oltre alla bellezza di un layout di 320 mq suddivisi tra banco sushi, sala, dehors, cucina e la grande cantina a parete (che può ospitare fino a 1.600 bottiglie da tutto il mondo, gestita dall’espertissimo Savio Bina), c’è un ulteriore aspetto che merita: la capacità di rispettare la storia e di guardare al mondo. Senza autocelebrazioni da prima stella nè voli pindarici. Così da innamorato della cucina giapponese ha ricavato nello spazio il bancone sushi più suggestivo di Milano, creando un locale a parte ossia l’Iyo Omakase: otto posti per celebrare lo spirito dell’edomae zushi, che affonda le radici nell’epoca Bunsei. Mentre nella splendida sala con lastre di porfido e tanto legno – con dettagli in vetro, ottone e cuoio naturale – ha aperto il ristorante che in pochi mesi è entrato nell’èlite della Rossa. Cercando (ma i risultati ci sembrano già ottimi) di creare quella che Liu definisce «cucina libera» ma in realtà è la prima «world cuisine» godibile a Milano e in Italia. Non è la fusion (spesso mediocre) degli anni ’90, non è la tanto lodata contaminazione (anche qui, con tanti distinguo da fare), non è Nikkei o nippo-brasiliana. Ma soprattutto non è una sequenza di esercizi stilosi, ma un pensiero culinario fatto di studio, analisi e mille prove.
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Guida Michelin 2021: quest’anno le stelle sono tante e (anche) verdiL’uomo giusto al posto giusto non poteva che essere un giapponese silenzioso e colto (laureato in economia) con il fuoco sacro della cucina, pronto a prendere lo zainetto a 30 anni per lavorare in Italia. È Takeshi Iwai, reduce dalla buona esperienza di Ada e Augusto, locale gourmet di Cascina Guzzafame, ma con passaggi importanti nelle cucine di Pino Cuttaia, Anthony Genovese, Silvio Giavedoni e Luciano Monosilio.
In tredici anni non ha perso la visione orientale (tecnica ed estetica) ma ha acquisito il gusto italiano e sa usare ogni prodotto internazionale, dal curry allo jalapeno. Ne escono piatti decisamente unici, quasi sempre spiazzanti ma centrati nel gusto come quelli visibili nella nostra gallery. Con la sensazione che il viaggio per il mondo, partendo dal nostro territorio, sia solo all’inizio e che nessun traguardo sia precluso. Perchè facilmente chef, patron, hotel italiani – per quanto bravissimi – subiscono inevitabilmente il peso della tradizione e vivono spesso nel terrore del cambiamento (mai come adesso, vanno capiti) mentre gli orientali non hanno paura. Sempre per restare in casa di Claudio Liu, nel momento in cui sembra che il mondo della ristorazione ruoti intorno a delivery e take away, è facile ricordare che il suo Aji è attivo da oltre due anni, con un notevole successo. Ah, se chiedete a mister Liu il segreto del successo risponde invariabilmente: «impegno, passione, determinazione». Facile. A dirsi.