Tumore alla prostata, più informazione femminile per prevenirlo
Quello alla prostata è il tumore maschile più diffuso e rappresenta oltre il 20% di quelli diagnosticati a partire dai 50 anni di età. In Italia un uomo su 8 ha probabilità di ammalarsi di questa patologia nel corso della propria vita e ogni anno i nuovi casi sono circa 37.000. Nonostante questi numeri, la diagnosi precoce non tiene il passo come ci si aspetterebbe, ma non per lacune sanitario-ospedaliero, piuttosto per la reticenza maschile a sottoporsi a controlli periodici.
Mentre le donne, infatti, soprattutto a livello ginecologico sono naturalmente inclini a tenere gli occhi vigili sul proprio stato di salute, gli uomini spesso fanno più fatica.
UNA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE PER LA DIAGNOSI PRECOCE
Consapevoli di ciò, due ragazzi australiani, per sensibilizzare sulla tematica, nel 2003 hanno dato vita al movimento Movember, dall’unione di Moustache, baffi, e November, che ogni novembre, in occasione del mese della prevenzione e della cura della salute maschile, promuove iniziative mirate.
A raccoglierne idealmente il testimone, in Italia, è stata quest’anno la casa farmaceutica Janssen Oncology, realizzando la campagna di sensibilizzazione Un baffo per la prevenzione, promossa con il patrocinio di Europa Uomo e Fondazione Umberto Veronesi. «La nostra realtà lavora su sei aree terapeutiche ma in quella oncologica riversa i maggiori investimenti in ricerca», spiega il direttore medico, Loredana Bergamini. «In particolare, con il tumore della prostata il nostro impegno è duplice: da un lato stiamo sviluppando nuovi farmaci e quindi nuove possibilità di cura che siano efficaci al 100% ma allo stesso tempo impattino il meno possibile sulla vita dei malati; dall’altro ci impegniamo in iniziative di sensibilizzazione, consapevolezza e sostegno psicologico».
UOMINI BLOCCATI DA TABÙ E PAURE
Un doppio fronte importantissimo perché nonostante ricerca e innovazione scientifica abbiano migliorato tantissimo le terapie oncologiche, la chirurgia robotica rappresenti una rivoluzione nel trattamento del carcinoma prostatico e le importanti novità in ambito farmacologico permettano approcci innovativi e personalizzati, in Italia ci sono ancora oltre 7000 morti l’anno per questa patologia. E lo scoglio più grande sembra proprio essere quello culturale.
A confermarlo anche Bernardo Rocco, direttore Struttura complessa di Urologia, Azienda ospedaliera-universitaria di Modena e professore ordinario dell’Università di Modena e Reggio Emilia. «La sopravvivenza a questa patologia è altissima. L’International Cancer Institute la fissa al 97,8% a cinque anni dalla diagnosi. Questa però deve avvenire in tempo, altrimenti le cose si complicano. Spesso i pazienti si presentano da noi specialisti con fastidi come l’ipertrofia prostatica, che molto difficilmente hanno a che vedere con il tumore, che invece almeno nelle prime fasi è quasi sempre asintomatico, e lì scoprono di avere questa patologia seria della quale non si erano mai preoccupati prima».
Una preoccupazione che, invece, dovrebbero avere, soprattutto dopo i 50 anni, quando i livelli di incidenza si impennano. «Se ciò non succede è perché storicamente gli uomini non sono mai stati educati a rivolgersi a quello che potrebbe essere definito il suo ginecologo. La donna, oltre ad essere culturalmente più predisposta a prendersi cura di sé, ha molti appuntamenti biologici che le impongono di incrociare il proprio percorso con questa figura medica. Penso all’inizio dell’età fertile, alla contraccezione, all’eventuale gravidanza e alla menopausa. Per l’uomo non è così e il risultato è sotto gli occhi di tutti».
Senza contare che si tratti di un ambito fortemente identitario per il genere maschile, come sottolinea Loredana Bergamini: «Già l’idea di sentirsi vulnerabili e non invincibili pone molti di loro in una situazione di disagio. Inoltre il tumore della prostata, colpendo la dimensione sessuale è percepito come un attacco alla virilità». Questo, pur non essendo assolutamente vero, genera sentimenti di timore che li allontanano dai controlli clinici, e che al conclamarsi della malattia, si trasformano in profonda vulnerabilità.
INFORMARE LE DONNE PERCHÉ PARLINO AGLI UOMINI
A sostenerli in quei difficili momenti molto spesso sono le donne, compagne, madri, sorelle o amiche, alle quali le campagne informative parlano ancor prima che ai diretti interessati, nella speranza che siano poi loro, facendo leva sulla vicinanza emotiva, a convincerli a contattare uno specialista per fissare un controllo annuale.
Testimonial dell’iniziativa di Janssen, il campione mondiale di apnea, Umberto Pelizzari, scelto perché, come precisa lui stesso, «sport e la prevenzione hanno tanti punti di contatto: una corretta prevenzione, infatti, necessita di controlli costanti nel tempo e soprattutto di determinazione nel non rimandarli, nonostante la vita frenetica che spesso abbiamo. Noi uomini dobbiamo vincere i nostri limiti, superare imbarazzo e paura, e sottoporci a regolari controlli dall’urologo perché una diagnosi precoce può essere decisiva».
Tra le iniziative importanti portate avanti da Janssen per rompere il tabù della malattia, anche la pagina Facebook OncoVoice Community, un luogo in cui pazienti, medici e familiari possono dialogare e scambiarsi impressioni, storie personali ed emozioni, in un ambiente pronto ad accogliere chiunque senta l’esigenza di raccontarsi.