Moda, l’abc della sostenibilità: quali sono le parole da conoscere?
Moda sostenibile: siamo tutti d’accordo che è il futuro. Grazie a questa consapevolezza che il cambiamento in questo settore è diventato necessario, il mercato sta cambiando, mettendo a punto accorgimenti e attenzioni che mirano a rispettare e a dare un aiuto concreto al nostro pianeta, sempre più in sofferenza a causa dell’inquinamento e della gestione poco oculata degli ultimi alcuni decenni.
E insieme al mercato, sta cambiando anche il nostro vocabolario.
Riciclo, ri-uso, pre-loved, made to order, organico: sono solo alcuni dei termini che potremmo leggere in un articolo sul tema o incontrare imbattendoci in brand o prodotti che hanno fatto della sostenibilità la loro missione.
Per questo abbiamo pensato di raggrupparle qui, in ordine alfabetico, per creare una sorta di mini-glossario.
Ma, prima di continuare, iniziamo proprio da lei:
SOSTENIBILITÀ: ovvero quel processo che tiene in considerazione, sempre in modo interconnesso, l’ambito ambientale, economico e sociale. Per creare un oggetto sostenibile, quindi, bisogna non solo lavorare sul miglioramento delle materie prime, ma anche sulle condizioni in cui lavorano i dipendenti e la paga con cui vengono stipendiati.
Tutto può diventare sostenibile, anche il nostro stesso stile di vita. Migliorare il modo di fare shopping, per esempio, può essere il primo passo per approcciare questo nuovo modo di vivere. Come? Puntando sulla qualità, leggendo attentamente le etichette, prediligendo brand certificati: in due parole, diventando consumatori consapevoli.
UNA RACCOLTA DI PAROLE UTILI PER CAPIRE MEGLIO COME STA CAMBIANDO LA MODA
Ecco a voi un piccolo dizionario con semplici spiegazioni delle parole più viste e usate.
– A
ACQUA: no non è un semplice liquido. L’acqua per noi, come per il pianeta è un elemento di vitale importanza. Lo sapevate che per produrre una T-shirt di cotone vengono impiegati circa 2700 litri d’acqua? L’obiettivo della moda sostenibile è anche quello di abbassare questi sprechi, davvero molto dannosi per il pianeta.
– B
BIODEGRADABILE
Un prodotto o materiale in grado di decomporsi naturalmente, quindi senza interventi esterni, in un breve periodo di tempo. Fattore molto importante che permette di migliorare l’impatto del tessile: l’eccessiva produzione di rifiuti, infatti, è uno dei principali problemi di inquinamento dell’industria moda.
– C
CIRCOLARE: si usa per descrivere quel sistema economico che si basa su tre principi: ridurre rifiuti e, di conseguenza l’inquinamento, far vivere più tempo possibile i prodotti e, per finire, rigenerare i sistemi naturali.
Secondo la definizione della Fondazione americana Ellen MacArthur, che sta cercando di promuovere con borse di studi e incentivi questo tipo di economia, «i flussi dei materiali devono essere due, ovvero quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati».
L’obiettivo finale? Quello che dovrebbe essere comune a tutti: aiutare il pianeta e costruire un mondo migliore.
– D
DIRITTI: il focus della moda sostenibile è tutelare al meglio quelli dei lavoratori. Cercando di creare un mercato equo di fatto ostacola lo sfruttamento di adulti, aumentando gli stupendi nei paesi meno sviluppati, e combattendo il lavoro minorile. Ma non solo, la tutela non dimentica nemmeno i diritti degli animali.
– E
ECO-FRIENDLY: ovvero, amici del pianeta. Rappresenta il lavoro di aziende e artigiani che, per le loro produzioni, limitano al massimo gli sprechi, stanno attente ai consumi e utilizzano solo materie prime di qualità. In altre parole, che rispettano l’ambiente.
– F
FAIR TRADE: è la traduzione di commercio equo e solidale. Ovvero quel mercato che garantisce a produttore e lavoratori un giusto riconoscimento economico, prestando attenzione al tempo stesso il territorio nel quale vivono. Immaginiamo i rapporti tra paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo: la tutela degli ultimi, per essere realmente equi, deve essere al di sopra di tutte le scale valori.
-G
GREENWASHING: no, non è un lavaggio delicato fatto con l’ultimo detergente ecologico. Questo termine, al contrario, indica il modo di comunicare di certe aziende che, per conquistare il favore dei consumatori, puntano su un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, omettendo gli aspetti negativi delle loro attività.
Sembra un termine super attuale ma invece risale al 1986, anno in cui l’opinione pubblica non era ancora così sensibile a questo tema. La inventò l’ambientalista americano Jay Westerveld per stigmatizzare le catene alberghiere che sensibilizzavano i loro ospiti a utilizzare meno asciugamani facendo leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria. Invito che nascondeva, secondo lui, esclusivamente motivazioni di tipo economico.
– I
IMPATTO: ovvero le conseguenze ambientali e sociali che provocano le produzioni. Un’alterazione permanente o temporanea, positiva o negativa dell’ambiente o del tessuto sociale. Si definisce a “basso impatto” quando questo mutamento è ridotto al minimo. Ovviamente il risultato è da certificare dimostrando quali impatti ambientali siano stati ridotti, in che modo tale traguardo sia stato misurato e come si è arrivati al risultato. Tutto questo è regolato dalla norma internazionale ISO 14021, che descrive la metodologia generale di valutazione e verifica.
– K
KM ZERO: ovvero quella politica che predilige il prodotto locale, letteralmente a chilometro zero, rispetto a prodotti provenienti da paesi lontani. In questo modo si può abbattere l’inquinamento provocato dai trasporti a lungo raggio e si può certificare con più sicurezza la provenienza delle materie prime. Originariamente utilizzato per il settore agricolo, ha preso piede anche nella moda. Si definiscono (anche) così le eccellenze artigianali locali, quelle maestrie che utilizzano saperi tramandati secondo tradizione e tessuti o pellami lavorati sul territorio.
– LAVORAZIONI: sono loro che fanno la differenza. Pensiamo a quelle che permettono a prodotti non nuovi di vivere una seconda vita. La rigenerazione, per esempio, che comunemente viene associata alla tecnologia (quante volte abbiamo sentito parlare di iPhone rigenerati?), si usa sempre di più nel settore tessile. Cashmere, cotone e tantissimi altri tessuti vivono nuove vite grazie alla rigenerazione della fibra.
– M
MATERIALI: tutte le materie prime devono essere certificate secondo standard internazionali.
-N
NORMATIVE
Regole di condotta da seguire per creare un’impresa, e di conseguenza una moda, sostenibile.
– O
ON DEMAND: sempre più spesso troviamo queste parole negli e-commerce. Cosa significa? Che quel brand ha deciso di ridurre la sovrapproduzione, creando la giusta quantità di pezzi che il mercato richiede. Stesso design, stessa qualità ma più responsabilità ambientale.
– P
PRE-LOVED: una definizione che si sente sempre più spesso. I capi pre-amati sono sono altro che i second-hand, è il nuovo modo, sicuramente più appetibile, di raccontare il mercato dell’abbigliamento usato. Ma non è solo una riuscitissima mossa di marketing, la scelta di queste parole è perfetta per raccontare quello che, in uno stile di vita sostenibile, dovrebbe essere l’approccio corretto ai vestiti. Amare i capi, sceglierli con attenzione, prendersene cura. E anche il passaggio tra un consumatore e l’altro è una buona pratica: non si butta nulla, ma si scambia, vende o regala.
– Q
QUALITÀ: imprescindibile per la moda sostenibile. La continua ricerca, l’attenzione data a ogni passaggio e le certificazioni necessarie sono sinonimo di valore.
– R
RI -USO e RICICLO: significa allungare la vita in modo etico ai capi che non desideriamo più. In che modo possiamo farlo? Regalandoli, scambiandoli, vendendoli. Donarli è facile, ci sono associazioni come la Caritas o Humana Italia (dove si possono anche comperare chicche) che recuperano i vestiti e attraverso riutilizzo e riciclo generano benefici ambientali e sociali.
Anche venderli è sempre più semplice: oltre ai negozi specializzati, ci sono tantissimi siti e app, da Vestiaire Collective a Depop, dove si fanno grandi affari. Alcuni ve li avevamo segnalati, ricordate? I 10 cult vintage da comprare. E, nel caso i nostri abiti non fossero più vendibili perché troppo rovinati, per esempio, si può sempre puntare sul riciclo: molti negozi ritirano tessuti usati in cambio di uno sconto.
– S
SLOW FASHION: ovvero, l’opposto del fast fashion. Lo sapevate che questa definizione è stata inventata facendo riferimento a un movimento food? Era il 2007 e la designer, scrittrice e pionera della moda sostenibile Kate Fletcher applicò al settore moda le suggestioni del gastronomo Carlo Petrini, che descriveva come Slow quelle buone pratiche che combattevano le proposte della produzione industriale. Oggi è sinonimo di sustainable fashion, e l’aggettivo «lento» si riferisce proprio ai tempi differenti di ideazione, produzione e consumo che richiede questo tipo di moda, ben diversi da quelli dei sistemi dominanti. Immaginiamo il lavoro degli artigiani o di brand di nicchia che non hanno ritmi imposti dai calendari commerciali.
– T
TRACCIABILITÀ:la garanzia della provenienza e del percorso che ha fatto il capo. Tutta la filiera, dalle materie prime al consumatore, in questo modo non ha segreti. La trasparenza alla quale dovrebbe ambire tutto il settore moda è proprio questo: un percorso senza ombre.
– U
UPCYCLING: è la forma avanzata del riciclo: perché prende scarti, giacenze di magazzino e le reinventa, aggiungendo la creatività. Destrutturare per ricostruire.
– V
VALORI: quelli che il brand deve avere e trasmettere. Il messaggio è necessario che arrivi all’interno come all’esterno: ovvero, sia ai suoi dipendenti che al consumatore finale. Un codice etico, che diventa anche un biglietto da visita.
PER APPROFONDIRE
Nella gallery troverete in alto il nostro alfabeto della moda sostenibile, mentre qui sotto abbiamo raccolto altri link con news e argomenti a tema che abbiamo trattato.
Buona lettura!