Politica e Coming Out
La naturalezza con cui Elly Schlein, la più votata in Emilia-Romagna, ha raccontato a Daria Bignardi d’aver amato molte donne e molti uomini, e di essere ora fidanzata con una ragazza, ha sollevato i più dolci encomi. Giustamente.
Eppure c’è qualche cosa che non torna. Prima di lei, Pete Buttigieg, uno degli aspiranti democratici alla Casa Bianca, si era definito episcopaliano, millennial, veterano di guerra e gay. Anche lì, la normalità del coming out. Eppure nessuno mai direbbe di sé episcopaliano, millennial e adoro lo scambio di coppia, oppure episcopaliano eccetera e la sera mi piace farmi dare una frustatina sul sedere. C’è dunque una ragione se la normalità del coming out impegna soltanto gli omosessuali e forse è contenuta in un titolo in cui, pochi giorni fa, la Bild si chiedeva se la Cdu (il partito di Angela Merkel) fosse pronta a «einen schwulen Kanzler», cioè a un cancelliere gay, in una traduzione edulcorata visto che i tedeschi si consentono termini più sfacciati. Si riferiva al ministro Jens Spahn, e la risposta sottintesa era no, la Cdu non è pronta.
Oppure la ragione è contenuta nella foto delle first lady all’ultima riunione della Nato, in cui compariva anche un first gentleman, il marito del premier lussemburghese Xavier Bettel, e il cui nome era stato omesso dalla didascalia. Lo strano non è che Schlein e Buttigieg e tanti altri, mentre parlano di politica, informino sulle loro inclinazioni private. Lo strano è che lo facciano perché ne sono costretti da noi perché noi ce lo aspettiamo. E perché a noi, a molti di noi, continua a sembrare rilevante (o imbarazzante) per l’andamento della cosa pubblica quello che alcuni fanno sotto le lenzuola. Specie se sono schwul.